Eques
È finalmente giunto il momento di rivedere alcune notizie, spacciate per “verità assolute” da una certa parte politica adusa stravolgere persino, anzi, direi soprattutto, la realtà, mistificando i fatti, in modo oltraggiosamente offensivo per l’intelligenza, in un passato ormai tanto lontano da permettere di poterne oggi parlare serenamente.
Prendo spunto da un episodio verificatosi nell’acceso contesto sociale e politico italiano del 1960, proposto in modo talmente “partigiano”, da non far render conto, neppure ai suoi commentatori, come proprio dalle immagini si disveli la falsità del, chiamiamolo “messaggio”, che vogliono raccontare.
Il servizio inizia con un discorso di Benito Mussolini, con l’evidente intento, per un verso di incutere il timore di (inesistenti) rischi di possibili concrete reviviscenze fasciste, e per altro di ridicolizzare il modo, certamente teatrale, utilizzato dal Duce, assolutamente in linea con lo stile dei tempi (e direi ancor oggi utilizzato da qualcuno).
Già il titolo, strumentalmente equivoco, “Il ricordo di una carica”, idoneo ad evocare sia immagini eroiche, che inquietanti e spaventose, offre un’idea dei reali intenti. Le immagini passano su caroselli di camionette e camion con idranti, che irrorano di acqua il “popolo”, e quindi, sullo sfondo della Piramide Cestia, su di una scritta, testuale: “Il 30 giugno 1960 il governo Tambroni concede l’autorizzazione al Movimento Sociale Italiano di organizzare il proprio congresso a Genova, città medaglia d’oro della Resistenza. Ne seguono durissimi scontri in piazza”.
Non si dice però perché seguirono scontri, né chi li provocò
Potrebbe immaginarsi perché i “democratici” di allora, non diversamente da quelli di oggi (vedi c.d. legge Fiano, fortunatamente non venuta alla luce, per lo meno per il momento), non potevano consentire, in ossequio ai principi della loro idea di democrazia, a chi non la pensava come loro, di esprimere il proprio diverso pensiero? Lasciamo correre, perché troppo lontano finiremmo.
Ancor più intrigante è però la scritta successiva: “A Roma il 6 luglio 1960 si svolge a Porta San Paolo una manifestazione antifascista in segno di protesta per i fatti di Genova. Lo Stato risponde con la cavalleria guidata dall’olimpionico Raimondo D’’Inzeo.” Cioè, dopo che “democraticamente” erano stati creati disordini e aggressioni a Genova, per impedire il libero svolgimento di un convegno di un partito avversario, devastando una città (come poi di nuovo molti anni dopo), si manifestava per far sentire la vibrata protesta del “popolo”, contro il “pericolo fascista”, sempre chirurgicamente evocato, a seconda delle evenienze. Che poi “il popolo” fosse composto dai soliti quattro gatti, sapientemente moltiplicati dai media, come ancor oggi, poco conta.
Le immagini passano poi sul volto di una donna, che, ignara forse delle successive “battaglie” di qualche anno dopo dei buoni, dei democratici, e via dicendo contro il fumo, rivolta alla telecamera, con aria grave e assorta, sfoggia in primo piano una sigaretta, tale Beatrice Tanno, (SPI CGIL Lazio, in sovrimpressione) e, dal fondo, una voce ricorda come il governo Tambrone (sarebbe Tambroni, ma correggere l’errore sarebbe antidemocratico) dette “… un grande spazio ai fascisti. La resistenza in qualche forma continuava ancora, però il clima in quel periodo era pesantissimo”.
Le immagini passano poi su un manifesto (che invita a uno sciopero “Sciopero generale antifascista”, forse dimenticando che non esisteva ormai più, e da anni), e sui disordini e scontri di Genova.
Il 6 luglio 1960, dice una voce, con in video l’immagine di un uomo brizzolato (“Giuseppe Sircana, Storico CGIL Lazio”), era stata organizzata una manifestazione antifascista “… inizialmente autorizzata, e, improvvisamente, il giorno prima, vietata per motivi di ordine pubblico”, e che fu quindi “.. un atto voluto, una provocazione da parte delle Autorità di Polizia e del governo Tambroni”.
Tradotto: se le Istituzioni decidono, per evitare disordini annunciati, “provocano”, se gli “antifascisti” impediscono “democraticamente” a sentir loro, agli altri di parlare, è sacrosanto esercizio di democrazia! E prosegue: “Allora, i fatti di Porta San Paolo si collocano tra la rivolta di Genova e i fatti ben più tragici di Reggio Emilia, con 5 morti il 7 luglio e l’8 luglio con altri quattro morti in Sicilia”.
Attenzione, il democratico, “storico della CGIL”, i disordini di Genova, li definisce lui “rivolta”, e non manifestazione pacifica, o civile protesta … e non spiega poi neppure quale sarebbe la ragione dei disordini di Porta San Paolo del 6 luglio, posto che li collega, cercando di accreditarli come giusta, e forse doverosa, reazione delle forze democratiche, con la “rivolta”, così da lui definita, di Genova del 7 luglio e in Sicilia dell’8. E come sapeva il 6 quello che sarebbe avvenuto il 7 e l’8?
Lasciamo correre, e torniamo alle immagini
Ancora camionette delle Forze dell’Ordine sulla sfondo della Piramide, e si contano 24 uomini a cavallo.
Poi 4 carabinieri a cavallo, con entrambe le mani sulle redini, fondine da pistola chiuse alla cintola.
Non una sciabola, né manganelli, che, per chi non lo sa, non erano in dotazione ai carabinieri a quei tempi, alcuni al galoppo altri al trotto. Prosegue lo “storico”, dicendo che il rilievo più importante era “… l’uso, per la prima volta nel dopoguerra della cavalleria …”, e che “…. Nelle testimonianze parecchi, anche persone che avevano una certa esperienza di manifestazioni, di scontri duri, a tutti è rimasta impressa questa manifestazione … per l’impatto violento di vedersi venire incontro questi cavalli “.
Le immagini passano sulla piazza, e si vede un reparto di Polizia che arretra e poi carabinieri a cavallo, affiancati in quadriglie, preceduti da un ufficiale, che hanno appena preso il galoppo, tutti ancora con entrambe le mani sulle redini, e quindi senza sciabole, manganelli, o altro, che caricano verso persone raggruppate in mezzo alla strada, gente che fugge, e agenti di Polizia appiedati che avanzano.
Torna l’immagine sulla donna intervistata all’inizio del servizio che, sempre con aria grave e impostata, dice: “Io ricordo la carica … e che molti non sono scappati”.
Voleva forse descriverli come degli eroi?
“L’ho vissuta come un’aggressione cattiva. Una violenza nei confronti di persone, di lavoratori, di giovani, di sindacati che volevano dire la propria, e che avevano pagato …”.
E ancora: “Ci hanno aggredito, Mi dispiace tantissimo quando qualcuno muore … perché muore qualcuno, però, non è pensabile, non riesco, oltre che rammaricarmi, a concepire l’ìdea di mettermi a braccia conserte, e farmi pestare”.
E quindi, perché non spiega che vuol dire? È forse talmente evidente da non esser necessario.
Se voglio bloccare una città, impedire a chi non la pensa come me di parlare, e alle Forze dell’Ordine di fare il proprio dovere,e cioè mantenere l’ordine … che si fa?
Non lo dice la Signora Tanno, ma dice però che .… lei non rimane con le mani in mano!
Pochi anni dopo il nostro Paese ha vissuto l’esaltante (per alcuni) epoca del terrorismo, dei morti ammazzati vigliaccamente alle spalle, e via dicendo.
Le immagini passano poi su reparti della Polizia, e, in sovrimpressione sono riportate lettere asseritamente scritte da poliziotti che contestano quel che dicono gli ufficiali, e che loro, a parte alcuni “fascisti” (eccolo lì il marchio “democraticamente” impresso su chi vuol far rispettare leggi e regole, e garantire l’ordine), sono con il popolo, con proclami di chiaro stampo comunista dell’epoca.
Già, ma D’Inzeo, che fine ha fatto? Nel servizio non si nomina neppure, però nel titolo fa un bell’effetto effigiare l’olimpionico, lo sportivo, alla stregua di un manganellatore fascista!
Semplice, molto semplice … c’era … in servizio, ma appiedato, come, con non poca amarezza, per la gratuità dell’accusa, si può venire a sapere chiedendolo alla nipote Cristina, che sull’argomento fa una sola precisazione, e cioè che il padre in quel frangente era un Ufficiale dei Carabinieri in servizio, e che quindi, se pure avesse partecipato alla “carica”, avrebbe semplicemente fatto il suo dovere.
Eccola la verità, altro che quella che hanno cercato di propinare per decenni i cosiddetti “democratici”
Gli stessi che si offendono se gli ricordi l’assordante loro assenza nelle più feroci e antidemocratiche azioni compiute da quella che era un tempo la loro vera madre patria, l’Unione Sovietica (anzi, per precisione, il PCUS!), quelli che si oltraggiano se qualcuno osa voler intestare una strada o una piazza a una tredicenne a cui è stato impresso il marchio di “fascista”, e che fu solo una povera creatura brutalmente violentata e assassinata da miserabili poi fatti assurgere al rango di eroi, solo perché “partigiani”!
E già, ma non furono sempre loro ad assassinare quella “criminale”, e però mai accusata (non condannata), per nessun crimine, che rispondeva al nome di Clara Petacci, rendendole l’ultimo “democratico” oltraggio, con l’ignobile esposizione in quella vergogna d’Italia che si chiama Piazzale Loreto?!
La domanda allora sarebbe, ma allora perché mettere in mezzo uno che non c’entrava nulla? Mistero.
Una sola considerazione finale … finalmente si può parlare anche di queste cose … forse