E finalmente calò il sipario sulla più atipica e originale delle legislature repubblicane. A cinque anni esatti dalle repentine dimissioni del governo guidato da Mario Monti, rimasto all’ultimo momento orfano del sostegno dell’allora PdL di Berlusconi, l’Italia si appresta a recarsi al voto il prossimo 4 marzo in una delle tornate elettorali più incerte di sempre.
Saranno infatti elezioni inedite, per la prima volta in uno schema tripolare consolidato e con una legge elettorale totalmente nuova che, tra le mille incertezze, consegnerà un Parlamento con equilibri differenti tra Camera e Senato e che, con ogni probabilità, non godrà di una maggioranza chiara sin dalla notte delle elezioni.
In effetti, anche nel 2013, vigente il Porcellum, i risultati non furono poi così differenti: la coalizione di centrosinistra guidata da Pier Luigi Bersani, data in vantaggio anche dai primi exit poll dopo la chiusura dei seggi, uscì fin dalla notte successiva al voto fortemente ridimensionata a causa del mancato raggiungimento della maggioranza al Senato. Un vulnus, quello, che sarebbe stato destinato a connotare, sin da quei giorni confusi, l’anomalia poi perpetrata per un intero quinquennio e i cui effetti sono oggi ancor visibili.
Il fallito tentativo di Bersani di formare un “governo del cambiamento” con i neo-eletti parlamentari a Cinque Stelle e l’affossamento, nel giro di 24 ore, delle candidature di Franco Marini e Romano Prodi alla Presidenza della Repubblica, costrinsero prima Bersani ad annunciare le dimissioni da segretario del Pd e poi ad una veloce salita al Colle per chiedere a Giorgio Napolitano, il cui mandato settennale era scaduto, di accettare per la prima volta nella storia della Repubblica la rielezione, causa incapacità di eleggere un qualsiasi altro candidato che non fosse Napolitano stesso.
Ma le novità non erano destinate a fermarsi lì: un’altra prima volta assoluta fu infatti il governo di larghe intese Pd-Pdl guidato da Enrico Letta e destinato a durare pochi mesi fino a che Matteo Renzi, forte dell’incoronazione alle primarie del Pd, non decise di prendere lui il posto di Letta e di fare piazza pulita della vecchia nomenklatura responsabile di aver perso un’occasione storica.
Il resto è storia recente che sembra già passata agli annali: il Pd al 41% e Forza Italia ai minimi storici e la rovinosa caduta del grande leader Dem al referendum costituzionale del dicembre 2017 a causa del quale dovette rinunciare sia alla guida del Governo e sia alla leadership del Pd, prontamente riacquistata dopo delle primarie lampo rivinte con ampio margine.
Si chiudono così cinque anni al cardiopalma che hanno fatto percepire questa legislatura molto più lunga di quelle precedenti con la sensazione, però, che le larghe intese sperimentate sin dal 2011 con Monti siano ben lungi dall’essere riposte in un cassetto. Specie con una legge elettorale scientificamente partorita per non far vincere nessuno e costringere ad accordi bipartisan. La terza repubblica è servita.