Un foreign fighters arrivato in Italia direttamente dal Califfato per portare avanti il jihad. Questo il compito, secondo gli inquirenti, di Ben Amir Nabil, il 30 enne marocchino arrestato a Genova. L’uomo era segnalato nell’ambito del sistema di sicurezza interforze europeo poiché ritenuto “esponente di rilevo dello Stato islamico, già presente in Iraq e Siria” e “incaricato di ritornare in Italia per addestrare altri membri dello Stato Islamico alla fabbricazione ed all’utilizzo di esplosivi”. Sui telefoni sono stati ritrovati messaggi, foto e video con immagini di decapitazioni e non solo. Abbondavano anche istruzione per costruire ordigni esplosivi e bandiere nere dell’Isis. Insomma, un profilo inquietante che ha messo in allarme da subito le forze dell’ordine. Arrivato dalla Siria e passato prima dalla Germania (dove nel 2016 non gli è stato riconosciuto il permesso di soggiorno), è transitato per l’Olanda per poi arrivare, nell’aprile scorso, in Italia.
Ma il panorama già di per sé allarmante della personalità del soggetto, è stato ulteriormente arricchito dall’emergere delle allucinanti circostanze che ne hanno portato all’identificazione.
L’arresto dopo l’aggressione all’ex compagna
Il 4 agosto scorso, infatti, la convivente italiana dell’uomo, in stato di forte agitazione e con gli indumenti stracciati, aveva fermato una volante della Questura di Genova asserendo di essere stata selvaggiamente picchiata e quasi strangolata da Ben Amir, riuscendo a sottrarsi alla furia dell’uomo solo fuggendo da una finestra del bagno. Una volta accompagnata al pronto soccorso, dove veniva medicata e dimessa con una prognosi di 15 giorni, la donna, in stato di avanzata gravidanza, ha sporto formale denuncia contro il convivente, arrestato dagli agenti e condotto in carcere.
Proprio gli accertamenti condotti a seguito dell’arresto del soggetto, hanno consentito agli investigatori di tracciarne un profilo più chiaro. Infatti, Ben Amir, non solo era già gravato da segnalazioni relative a reati comuni e agli stupefacenti, ma risultava di indole violenta e aggressiva, annoverando, tra l’altro, specifici reati di violenza privata, atti persecutori e lesioni personali.
Ma non solo. Quanto emerso dai primi accertamenti, ha indotto gli agenti della Questura di Genova ad approfondire le indagini sul conto dell’uomo, estendendole ai social network frequentati dallo stesso e ai telefoni cellulari in uso. Dalle analisi del materiale informatico, è venuto fuori un legame importante tra il marocchino e ambienti dell’estremismo islamista. In particolare, alla sua frequentazione, sulla piattaforma Telegram di gruppi riconducibili al fenomeno dei “lupi solitari” (in arabo, Al Ziab Al Monfarida) ed altri collegati dedicati alla diffusione di materiale propagandistico in favore dello Stato Islamico.
Ma gli investigatori, oltre che lo scambio di foto e filmati ritraenti torture, uccisioni, decapitazioni poste in essere nei territori del Califfato, hanno ritrovato anche conversazioni e documenti relativi a particolareggiate istruzioni per la composizione di cinture esplosive, nonché sull’uso delle armi da fuoco, il tutto condito da dialoghi via web relativi a non meglio specificati compiti da svolgere in Europa.
E l’Italia era specificamente indicata come Paese in cui il marocchino avrebbe dovuto ricoprire l’incarico di istruttore all’uso di armi e esplosivi ad altri non meglio identificati adepti dell’Isis pronti a immolarsi per la causa.
Un profilo conforme a quello delineato dagli analisti
Il panorama illustrato nel dettaglio dalla Polizia di Genova altro non ha fatto che accrescere ulteriormente le tensioni già palpabili negli ambienti della sicurezza nazionale in prospettiva delle ormai imminenti celebrazioni relative alle festività natalizie e di fine anno.
Se per qualcuno, le nostre segnalazioni delle continue minacce rivolte all’Europa e al nostro Paese da parte del Daesh e dei suoi accoliti, è suonata come una nota stonata, se non una “fake new“, ben diversa dall’incensamento di alcune note testate a favore delle disgraziate politiche attuate dal governo in carica, noi abbiamo inteso farne un dovere civico, anticipando abbondantemente e con dovizia di particolari le intenzioni bellicose dei folli jihadisti.
E può suonare ulteriormente sintomatico porre in rilievo il profilo del marocchino arrestato a Genova così conforme a quello già delineato dagli analisti di settore sin dall’inizio del nuovo millennio quando, dai santuari islamisti di Asia e Medio Oriente, centinaia di imam-reclutatori furono inviati in Occidente allo scopo di propagandare il credo jihadista e facilitare l’adesione alle varie realtà eversive di stampo islamista di delinquenti comuni, tossicodipendenti e semplici immigrati clandestini in cerca di fortuna.
Cellule in Italia già dalla fine degli anni ’90
E i riscontri non sono mai mancati. Infatti, già alla fine degli anni ’90 in Italia erano presenti ed operanti diverse cellule dedite all’indottrinamento dei neo-militanti nell’orbita della galassia jihadista.
Milano, Roma, Bologna, Napoli e Treviso rappresentavano il fulcro delle attività degli estremisti che, guarda caso, già all’epoca fruivano di permessi di soggiorno in qualità di rifugiati politici poiché dichiaratisi perseguitati nei Paesi di origine. La realtà era ben diversa.
In Tunisia, Algeria, Libia ed Egitto, i partiti politici che in modo più o meno esplicito, si rifacevano ai canoni più estremi dell’islam, erano stati dichiarati fuori legge con l’ovvio intento di impedire il radicamento e l’espansione di ideali jihadisti o, peggio, della creazione di mini-califfati in seno ai territori della vasta area nordafricana.
Ma le politiche intentate dai governi maghrebini, in Europa e in Italia, erano viste come un grave sintomo di repressione del “libero pensiero”, ragion per cui, migliaia di soggetti radicalizzati trovarono una facile via di fuga in Occidente, dove si stabilirono con l’opportunità di proseguire le attività di proselitismo tra le frange degli immigrati e ponendo le basi per un salto di qualità della jihad contro i miscredenti con le conseguenze ben note.
Vale la pena ricordare che, se durante la stagione degli attentati filo-palestinesi a cavallo tra gli anni ’70 e gli anni ’80 era in vigore il fantomatico “lodo Moro”, studiato ed attuato per risparmiare l’Italia dal terrorismo mediorientale, l’immigrazione incontrollata alla quale stiamo assistendo negli ultimi anni, non è escluso possa essere connessa a qualche altro accordo stipulato sottobanco tra esponenti del nostro potere politico e i capi-popolo dell’estremismo islamico.
Ma a differenza del terrorismo di matrice mediorientale, che mirava al riconoscimento di territori contesi a Israele in favore degli arabi-palestinesi, i terroristi islamici giustificano le loro azioni con l’intenzione di estendere il conflitto religioso contro i cristiani e, più in generale, contro l’Occidente seminando terrore indiscriminato e accompagnandolo dalla silente e metodica invasione di migliaia di disperati.
Un panorama politico di sordi
E proprio in relazione al tipo di strategia scelto dagli jihadisti, da quasi vent’anni a questa parte, non si può certo dare affidamento ad alcun interlocutore credibile che possa in qualche modo frenare, in nome di presunti accordi, il bellicismo impetuoso dei miliziani dell’Isis o di Al Qaeda. Tante le fazioni, tante le cellule e una moltitudine di lupi solitari e di foreign fighter di ritorno che, scevri da qualunque dipendenza gerarchica, posso semplicemente attivarsi in modo autonomo quando le condizioni siano ritenute opportune. Un panorama fosco, forse anche troppo, ma gli indicatori di allarme erano suonati per tempo, ma in un panorama politico di sordi.