Sul suo passaporto aveva scritto “America, muori nella tua rabbia”. Akayed Ullah, il bengalese di 27 anni autore del fallito attentato alla fermata della metropolitana di New York, aveva anticipato le sue intenzioni, volendo lasciare una chiara traccia dei suoi sentimenti contro il Paese che lo ospita e al quale ha dichiarato guerra. Anche le dichiarazioni rese agli inquirenti subito dopo il suo arresto non avevano lasciato adito a dubbi di sorta: il bengalese ha agito in nome dello Stato Islamico.
Pur conscio della gravità del suo gesto, aveva seguito le indicazioni fornite sul web dalle decine di siti inneggianti alla jihad che, fino dal 2014, aveva iniziato a frequentare con assiduità. In particolare, Ullah, aveva pedantemente seguito l’istruzione alla base delle ultime indicazioni dei predicatori dell’Isis prima della caduta del Califfato: “Se l’hijra (la migrazione verso i territori del Daesh) vi è impedita, agite dove vi trovate”. E alle parole sono seguiti i fatti, non solo da parte del giovane bengalese ma, probabilmente, anche quelli relativi agli episodi verificatisi negli ultimi tempi nel nostro Continente che hanno sempre visto come protagonisti non cellule organizzate, ma i cosiddetti lupi solitari.
Anche mancando le prove certe di una connessione tra l’autore del fallito attentato di New York e altri sostenitori dell’Isis, ancora una volta la strategia di reclutamento del Califfato pare abbia incontrato il drammatico consenso degli adepti. Proprio in quest’ottica vanno riviste le strategie delle varie intelligence che, a fronte di un già numeroso numero di seguaci del Daesh operanti in Europa, dovranno far fronte alle centinaia di migliaia di reduci, infarciti di ideologia jihadista, pronti a colpire e, soprattutto, a fare opera di proselitismo tra le masse di immigrati presenti nel vecchio Continente.