L’attentato che oggi ha riportato New York in una situazione di panico indiscriminato, avrà sicuramente colto di sorpresa alcuni redattori di quotidiani pronti a tacciare di fake tutte quelle notizie basate su analisi reali, se ritenute sconvenienti, inopportune e, soprattutto, scomode.
Ma tant’è. Come, purtroppo, avevamo largamente anticipato, qualcuno si è sentito in dovere di porre una atto le minacce che da tempo pervadono il web, dirette all’Occidente e, nella maggioranza dei casi agli Stati Uniti.
A seguito della decisione del presidente Trump di dare un riconoscimento di Gerusalemme quale capitale dello Stato di Israele, le tensioni si sono fatte sentire in ogni parte del Globo e gli incidenti scoppiati in Medio Oriente sono apparsi come un prologo a qualcosa di più grosso che ad una vera e propria reazione.
Il 27enne bengalese Ullah Akayed, si è probabilmente fatto portatore di un messaggio di morte contro il Paese che da 8 anni lo ospita, ma la fortuna non è stata dalla sua parte. Con il ventre squarciato da una pipe-bomb artigianale, di cui è esploso il solo detonatore, ha dovuto rimandare l’atteso incontro con le 72 vergini e, presumibilmente, nei prossimi anni (se verranno) avrà anche modo di riflettere sulle ragioni che lo hanno indotto a compiere un gesto che avrebbe potuto avere conseguenze ben più tragiche.
Il bilancio dell’atto terroristico parla di soli 4 feriti lievi e di una città che è ripiombata nella paura di altri gesti eclatanti e drammatici, non certo frutto della sola iniziativa diplomatica pro-Israele di Donald Trump, ma di un odio radicato nelle folli menti dei jihadisti che, fino dal primo attentato alle Twin Tower nel 1993 ad opera di Ramzi Youcef, avevano promesso di non dare tregua all’America e al suo popolo.
Ma al pari degli Stati Uniti, che stanno esaminando la possibilità di elevare il livello di allerta contro possibili altri attentati, anche in Europa le Autorità preposte alla sicurezza studiano i piani per rendere sicure le prossime festività.
Nel mirino degli jihadisti, per lo più di quelli affiliati all’Isis, gli obiettivi sarebbero molteplici, ma Roma rimane sempre il target preferito, almeno secondo la propaganda web che, sebbene non rappresenti un elemento di prova certa, dovrebbe comunque rappresentare un punto di partenza per sondare gli umori della comunità dei frequentatori della rete. Proprio New York e Times Square ricorrevano spesso nei deliranti messaggi spalmati sulle varie piattaforme dei social network e, non a caso, una in particolare, rappresentava un babbo natale dell’Isis immortalato con a fianco alcuni candelotti di dinamite. Alla faccia della fake news. Un’immagine peraltro segnalata anche da Site, la società americana diretta da Rita Katz, che si occupa di monitorare proprio la propaganda sul web degli jihadisti.
E’ evidente che davanti al rischio rappresentato dall’Isis dopo la sconfitta in Siria e Iraq, la partita si giocherà altrove. Anche la possibilità che esista un centro direzionale del Califfato che possa impartire ordini ai miliziani sparsi nel mondo appare improbabile. Possibile, invece, è che gli jihadisti operino in modo autonomo, anche sul web, continuando a rilanciare minacce verso l’Occidente che, quasi puntualmente, vengono poi raccolte dal “lone Wolf” di turno. Più che parlare di fake news, in questo caso occorrerebbe una presa in carico seria di tutti gli “addetti ai lavori”, che possa finalmente considerare i veri pericoli a cui il mondo è esposto. Bollare alcune notizie come bufale, in taluni casi equivale a sottovalutare il problema.