A cura di Marco Petrelli
Pristina-Kosovo
Parrebbe un ossimoro dire che il grande UH-60 Black Hawk atterri leggero, ma è proprio così: imponenza e grazia di un aeromobile nato sul finire della Guerra del Vietnam per sostituire il ‘glorioso’ UH1-Iroquois e oggi in dotazione alle forze di sicurezza kosovare. D’altronde, l’esercitazione alla quale stampa ed ufficiali Nato sono chiamati ad assistere prevede un largo impiego di uomini e mezzi, come l’elicottero in versione Medevac (Medical Evacuation).
Dalla pancia dell’UH-60 esce un team di soccorritori che in pochi secondi trasporta a bordo la barella. Il vento solleva i copricapi e rende impossibile foto chiare, limpide, nitide, in posa, investendo anche i vigili del fuoco che hanno appena disinnescato un ordigno. La granata non brilla, viene soltanto depositata in un luogo “sicuro” dal drone terrestre comandato da una squadra di artificieri: imparare a bonificare Erw (Explosive Remnants of War) e Ied (Improvised Explosive Device) e tenersi in costante aggiornamento è cosa importante in un angolo di mondo nel quale, ad oggi, si contano ancora migliaia e migliaia di mine anti-uomo e di altri residuati bellici.
Ma per quanto all’avanguardia, gli equipaggiamenti non sempre bastano o, almeno, non possono sopperire alla preparazione pratica (e piscologica) nell’affrontare le insidie del quotidiane. E per essere sempre pronti e operativi c’è Silver Sabre, esercitazione volta a testare la capacità di intervento delle forze locali e di battaglioni multinazionali in tre diverse situazioni di emergenza: protezione del personale Lmt (LMT- Liaison Monitoring Team), neutralizzazione elementi ostili e armati, dispersione di manifestanti violenti.
Come già raccontato, sul territorio kosovaro operano team di militari (Lmt, appunto) con il compito di tenere ben saldi i rapporti fra Kfor e civili, fornendo consigli ed indicazioni di natura amministrativa e sulla sicurezza. Sebbene la Forca e Sigurisë së Kosovës (Forza di Sicurezza del Kosovo, nda) sia già in grado di proteggere gli Lmt, l’esercitazione ricrea uno scenario nel quale le linee di difesa degli agenti kosovari collassano, richiedendo di conseguenza l’intervento del Multinational Battle Group West (formato da Italia, Slovenia, Austria e Moldavia).
“L’obiettivo addestrativo è quello di testare la capacità di reazione rapida delle forze del Battle Group – spiega il Tenente Colonnello Antonio Bernardo – in difesa del personale Lmt in prossimità di un Field Office, attorno al quale si concentra una massa ostile”.
Il primo test coinvolge l’Esercito Italiano in assetto anti sommossa, sostenuto dai colleghi austriaci con fucili caricati a proiettili di gomma. Sincronia perfetta fra alleati: messi in fuga i dimostranti, un autoblindo dell’Österreiches Bundesheer copre la fuga degli Lmt, scortati nella pancia del mezzo da una pattuglia che si muove in pochissimi secondi: estrazione, protezione e allontanamento dall’area.
Secondo test. In un poligono poco distante il Wojska Lądowe (Esercito della Polonia) è impegnato in una rapida incursione che ha come teatro quella che, a primo acchito, pare essere una scuola nella quale si sono asserragliati uomini armati. L’operazione dura pochissimi minuti ma che sembrano non passare mai perché la reazione degli occupanti “scatena” un conflitto a fuoco, con tanto di lancio di bombe a mano. Tutto a salve, chiaramente, ma gli effetti sonori e l’elevata professionalità del reparto polacco dà quasi l’idea di vivere una reale situazione d’emergenza, dove il tasso di adrenalina schizza alle stelle insieme ai frammenti di una finestra infranta dalla deflagrazione di granata. Scene hollywoodiani, quindi, che si ripetono poco dopo l’assalto: due cordoni di manifestanti agguerriti e armati di spranghe e bottiglie molotov attaccano automezzi della polizia: una vampata imponente, l’automezzo in fiamme; ma, di colpo, un getto d’acqua che parte dal tetto soffoca le fiamme per poi rivolgersi ad alta pressione contro i manifestanti. Altre molotov esplodono ai piedi delle pattuglie ungheresi e dei carabinieri sopraggiunte e che rispondono con estrema calma, soffocando il fuoco con una veloce cadenza degli anfibi e lanciandosi poi in avanti in una carica di alleggerimento che spinge indietro e circonda gli “ostili”. E’ il terzo test.
Realismo estremo con uno scopo ben preciso: preparare scrupolosamente il giovane stato balcanico a saper gestire la sicurezza interna. Infatti, pur in rapida crescita, con cantieri edili disseminati lungo tutto lo skyline di Pristina e con edifici futuristici che ricordano molto le città occidentali, il Kosovo ha ancora una economia fragile e in parte dipendente dal denaro che i kosovari residenti all’estero inviano alle famiglie; situazione resa ancora più difficile da una tasso di disoccupazione che si aggira attorno al 30% (dato del 2015). Dunque, la scarsità di prospettive può diventare una bomba sociale, specie per i giovani? Il ricordo della guerra del 1999 è ancora vivo e il raggiungimento di un equilibrio fra minoranze etniche è religiose è un successo, più che della Nato dei kosovari stessi che sono stati capaci negli anni di gettare nuove fondamenta di convivenza civile; tuttavia, quasi due decenni di esperienza hanno insegnato a militari della Kosovo Force quanto delicato sia lo scacchiere balcanico e quanto necessario sia prepararsi ad ogni eventualità.
Al di fuori delle recinzioni del poligono, a fiamme spente e automezzi rientrati, l’occhio cade su una Pristina che si prepara al week end: ragazzini nei bar, strade trafficate, donne velate e a capo scoperto che passeggiano serenamente lungo boulevard Nënë Tereza gli occhi sulla torre campanaria della Katedralja e së Holy Nënë Tereza o volgendo lo sguardo alla statua di Skanderberg. Un clima sereno, molto lontano dagli scenari che Silver Sabre ha ricreato nel corso della mattinata e che avvolge le testimonianze della cultura cristiana e di quella islamica che si alternano fra i minareti e occidentalissime reclame. Un mondo nuovo sul quale Kfor continua a vigilare con attenzione e con indubbia professionalità.