In un’intervista senza precedenti rilasciata al quotidiano indipendente saudita Elaph, con base a Londra, il capo di stato maggiore dell’esercito israeliano, generale Gadi Eisenkot, ha dichiarato la disponibilità di Israele ad aprirsi ad una collaborazione nell’ambito dello scambio di informazioni di intelligence con i Paesi arabi moderati, in chiave anti-iraniana. “L’Iran progetta di controllare il Medio Oriente con due ‘mezzelune sciite’ – ha detto – la prima dall’Iran, attraverso Iraq, fino in Siria e in Libano, la seconda dal Bahrein attraverso lo Yemen fino al mar Rosso. Su questa questione noi e il regno dell’Arabia Saudita, che non è mai stato nostro nemico e con cui non abbiamo mai combattuto, concordiamo completamente”.
Quelle che appaiono come dichiarazioni di preludio ad una vera e propria alleanza contro Teheran, sono confortate da quelle rilasciate dal ministro della Difesa israeliano Avigdor Lieberman che, interpellato ieri dal quotidiano The Times of Israel, ha dichiarato in modo netto che Israele non tollera alcuna presenza dell’Iran in Siria, in aperto contrasto con i contenuti dell’accordo stipulato da Stati Uniti e Russia l’11 novembre, e che autorizza la permanenza dei miliziani legati a Teheran nel Paese.
A sottolineare la volontà israeliana di non ritenersi in alcun modo vincolati dagli accordi tra le due superpotenze, il 13 novembre scorso il premier israeliano Netanyahu ha dichiarato di avere chiarito “ai nostri amici a Washington e ai nostri amici a Mosca che opereremo in Siria, compresa la Siria meridionale”.
Logica conseguenza di questo distacco dalle politiche non propriamente nitide di Stati Uniti e Russia, è stato l’avvicinamento degli israeliani agli arabi moderati, in primis i sauditi che sembrano intenzionati a creare una sorta di cortina di protezione dall’espansionismo sciita in Medio Oriente.
Anche il quotidiano israeliano Haaretz ha voluto porre in risalto come sia la prima volta che un alto esponente militare dello Stato ebraico rende un’intervista a una testata del regno wahabita con il quale, peraltro, Israele non intrattiene relazioni diplomatiche.
Ma come confermato da Lieberman, quando “si parla dell’asse iraniano, c’è un’intesa totale tra noi e loro”. E ancora: “Quando ho sentito il rappresentante saudita parlare, ho trovato che la sua visione sull’Iran era completamente allineata con la mia – ha aggiunto – Non permetteremo che la Siria diventi una base operativa dell’Iran e degli sciiti contro lo Stato di Israele. Chi non l’ha ancora capito, è bene che lo capisca”.
Dunque le intenzioni appaiono chiare, anche se l’inizio di un conflitto nella già instabile area mediorientale non è visto di buon occhio da tutti i vertici militari di Tsahal che temono di vedersi affidato il “lavoro sporco” dai sauditi, sostenendo, invece, una linea di cauta fermezza che consenta comunque di tastare il polso agli iraniani prevenendole le intenzioni.
Proprio all’inizio di questa settimana, le Forze di difesa israeliane (IDF), hanno dispiegato batterie anti-missile Iron Dome in tutto il Paese per una temuta escalation di tensioni sul fronte meridionale, lungo il confine con la Striscia di Gaza. Il provvedimento è stato deciso successivamente alla neutralizzazione di un tunnel terroristico della Jihad islamica palestinese il 30 ottobre scorso, che ha provocato la morte di 14 miiziani di Hamas che, a seguito dell’attacco, secondo l’intelligence israeliana, intenderebbe lanciare una rappresaglia contro lo Stato ebraico il più rapidamente possibile. I rischi di una nuova intifada sono tra le ragioni che inducono alla prudenza gli stati maggiori delle forze armate di Israele in merito alla questione iraniana. L’apertura di più fronti bellici potrebbe comportare un enorme dispiego di uomini e mezzi oltre che una pericolosa dispersione delle forze disponibili, una coperta troppo corta che lo stato ebraico, in questo momento storico, non può permettersi.