“Nemico alcool ti ho detto addio, amico mio”. Così recitava la strofa di una canzone di Umberto Tozzi degli anni ’70 che, autobiografica o meno, e sinceramente è un dato che non interessa, racchiude il senso della lotta interiore che le persone affette da alcolismo affrontano nel loro tentativo di risalita dal baratro nel quale sono precipitate. Si parla sempre in terza persona come se il problema fosse a noi così lontano, non ammettendo che, invece, è dentro di noi, ci coinvolge, stravolge e destabilizza fortemente fino a quando non riusciamo ad ammettere a noi stessi di avere un problema e di non sapere come affrontarlo.
Chi sta leggendo queste righe non si nasconda
E’ parte della categoria o coinvolto, a livello sentimentale, con chi “ha un problema” legato all’alcool. Ciò che ci si attende è una risposta alle proprie domande, un rimedio, un suggerimento immediati che permettano, alla fine della lettura, di convincersi che si può uscire dal famoso tunnel.
Sì, non senza difficoltà, poiché l’alcolismo, ovvero la dipendenza dall’alcool, è una patologia riconosciuta e difficilmente curabile. Non fatevi attrarre dalle sirene di rimedi costosi, fantasiosi, di ricoveri in clinica o di sedute psicanalitiche. Il rimedio siete voi stessi, la vostra forza di volontà, il vostro coraggio e la vostra convinzione di voler porre rimedio a una situazione che da troppo tempo si trascina.
Ho deciso di scrivere a Ofcs.report, magazine dedicato alla “percezione della sicurezza”, perché il problema dell’alcolismo, a vari livelli, è strettamente connesso alla sicurezza. Si pensi agli incidenti stradali provocati da guidatori sotto l’effetto dell’ennesima sbornia o alle violenze domestiche cagionate da chi, magari, non ha trovato la propria scorta di bottiglie dove l’aveva nascosta, alle risse o addirittura alle decisioni importanti prese in preda ai fumi dell’alcool. Già, perché la nostra patologia non guarda in faccia nessuno. In fondo è il vizio più democratico che esista, colpisce ricchi e poveri allo stesso modo, contadini e politici, manovali e dirigenti d’azienda. In questo dimostra il proprio senso di giustizia e, contemporaneaente, la propria profonda perniciosità.
Chi scrive non vuole assolutamente sostituirsi a chi, per legge, è delegato ad occuparsi in modo scientifico all’approccio con l’alcolista, ma semplicemente fornire il proprio personale contributo, basato sul vissuto, a chi è in cerca di uno spiraglio di luce.
Nell’affrontare il problema dell’alcool, senza dover forzatamente parlare di dosi, tipologia e tempi dell’assunzione che mi sembrano argomenti francamente superflui (poiché tenderebbero a giustificare chi sta leggendo e a non portare a un’ammissione di “colpa”) voglio trattare dei sintomi. Riporto integralmente un mio appunto redatto una mattina appena alzato, in un periodo di profonda crisi dovuta all’assunzione della nostra bevanda preferita: “Insonnia e palpitazioni al risveglio. Nausea e inappetenza. Gravi problemi gastrointestinali. Ansia diffusa e alterazione della pressione. Apatia permanente con difficoltà a compiere qualsiasi sforzo. Capogiri. Perdita di interesse per il lavoro. Difficoltà decisionale. Senso di profonda depressione, momenti di lucidità e iperattività alternati a lunghe pause di completa inattività”. Queste brevi note le ho redatte nel corso della giornata, tendando di sedare, in qualche modo, il bisogno di ricorrere alla bottiglia.
Dai giorni successivi ho maturato nuovamente (avevo già provato…), l’intenzione di rinunciare a questi sintomi. Per dirla in modo ironico, di riprendere a vivere e a fare vivere chi mi sta accanto. Non è stato facile.
Il primo giorno di astinenza è stato terribile
Pur tendando di rivolgere il pensiero e l’attenzione altrove, mi ritrovavo continuamente a guardare l’orologio, sperando che le ore passassero in fretta per consentire al mio fisico a disabituarsi all’alcool. Ma non è stato così. I dolori allo stomaco non mi hanno dato tregua, accompagnati da un forte stato d’ansia che mi ha accompagnato per le successive 48 ore. Tremori, sudorazione, palpitazioni mi hanno tenuto compagnia senza soluzione di continuità. Il mio medico, un amico, mi ha supportato con un gastroprotettore e un calmante. Rimedi anche abbastanza semplici ma, accompagnati dalla mia forza di volontà, che con il passare delle ore si faceva sempre più forte, ho pensato di farcela. Ho sostituito la bottiglia con bevande zuccherate mandate giù a litri, e l’accorgimento ha sortito i suoi effetti già dopo qualche ora. Dopo una notte quasi insonne, ho guardato le mie mani. I tremori non cessavano, ma nel frattempo mi era tornata la fame. Addirittura, dopo anni, sono riuscito a fare colazione. Devo dire che il secondo e il terzo giorno i primi benefici si sono fatti sentire. Ho ricominciato a leggere e scrivere e il lavoro ha assorbito, non senza difficoltà, qualche ora della giornata.
Alla fine del terzo giorno di astinenza qualche tentazione l’ho avuta. Sì, non avevo, volutamente, buttato via tutte le bottiglie, ma guardandole provavo un senso di odio e la determinazione che avevo messo in campo per quei tre giorni è ricomparsa e mi ha consentito di sostituire le odiate bottiglie di alcolici con quelle dei succhi di frutta.
Sono uscito da questo tunnel della paura dopo il quarto giorno e, lentamente, riprendevo il controllo di me stesso, delle mie mani e, in fondo, della mia vita. Ho ripensato, e ci ripenso ancora, a quelle giornate vissute per il tempo necessario a consumare massicce dosi di alcolici in attesa del loro effetto, fortunatamente per me, solo sedativo. Ho ripensato agli sguardi di chi mi sta a fianco, dei parenti, degli amici, che si incrociavano ogni qualvolta mi accendevo una sigaretta con la mano tremante o, peggio ancora, versavo loro da bere rovesciando parte della bevanda sulla tovaglia. Ho ripensato a quelle volte che mi sono messo alla guida provando torpore, stordimento sebbene, per fortuna, non lo abbia mai fatto da “ubriaco”, ma è stato solo un caso.
Sono mesi che non bevo
Mi sono completamente ripreso e sono in attesa della “prossima ricaduta”. Già, perché alcolisti si rimane, la patologia è latente. La miglior definizione che ho sentito nei miei confronti con un amico psichiatra, veramente professionista, è quella di “alcolista astinente”, di quella persona che sa di avere un pericoloso vizio, ma vi rinuncia consapevole che potrebbe rappresentare un nuovo inizio dell’incubo.
Voglio veramente sperare di avere contribuito a dare una speranza a chi ha letto queste righe e di aver fornito qualche strumento immediato di risposta al problema senza, ripeto, sostituirmi agli specialisti del campo.
Appare ovvio che tenterò sempre di non ricascarci, al momento la sola vista della bottiglia mi nausea, e la mia ulteriore speranza è di non ammalarmi di diabete, perché rinunciare ai miei succhi di frutta sarebbe veramente una tragedia!
Infine, qualche consiglio a chi è vicino all’alcolista: non nascondete le bottiglie, ne comprerà altre. Non dite continuamente “non bere”, le persone dipendenti da una qualsiasi sostanza non guariscono miracolosamente con le vostre raccomandazioni. Non continuate a ripetere “come ti sei ridotto”, l’alcolista lo sa benissimo ma, in quel momento, è troppo debole per rimediare. L’alcolista è una persona perfettamente normale le cui funzioni, dall’intelligenza a quelle della sfera sessuale, si sono solo offuscate. Cercate di accettarlo per quello che è, in fondo se gli state vicino un motivo ci sarà.