Dalla Sicilia arriva una lezione durissima per le forze che sostengono il governo. La vittoria (di poco) di Musumeci e la sconfitta (di poco) di Cancelleri certificano la clamorosa uscita del centrosinistra governativo dal palcoscenico siciliano, uno dei principali a livello nazionale, e rilanciano indubbiamente la coalizione di centrodestra, mai così in poppa da cinque anni a questa parte.
Il Movimento Cinque Stelle, pur portando a casa un consenso cospicuo (anche se quello di Cancelleri è molto più alto della lista che lo sosteneva), non riesce ad affermarsi in maniera così dirompente come alle elezioni amministrative di un anno e mezzo fa, dove espugnò Roma e Torino a scapito del Pd che, invece, si attesta molto indietro rispetto ai primi due contendenti. Una elezione, questa, caratterizzata dalla forte influenza del voto disgiunto che premia moltissimo Musumeci, ma che affossa Micari di quasi 10 punti e che fa calare su Roma, e con un notevole anticipo, il tema della premiership a destra come a sinistra.
La vittoria di Musumeci squarcia un velo sul vero nodo delle prossime elezioni politiche del 2018
In casa centrodestra, nonostante la vittoria siciliana, permane e si fa ancora più spinosa la questione del candidato premier, da oggi non più, come in passato, prerogativa esclusiva di Forza Italia costretta, in Sicilia, ad appoggiare solo in un secondo momento la candidatura di Musumeci, sostenuta inizialmente dalla sola area sovranista. Se anche a livello nazionale si dovesse replicare questo schema e stante la permanenza dell’incandidabilità di Berlusconi è probabile che la Lega, forte di un consenso strutturato anche al di sotto del Po, vorrà dire la sua e, chissà, magari anche avere l’ultima parola sul candidato premier. Sempre se ci sarà, visto che la nuova legge elettorale, a differenza del Porcellum, non prescrive l’obbligatorietà dell’indicazione del nome sulla scheda. Stesso discorso, ma con risvolti differenti dalle parti del Nazareno. Il 40% delle europee è solo un lontano ricordo annebbiato da tre tornate elettorali successive durante nelle quali il centrosinistra ha visto perdere Roma, Torino, la Liguria e il referendum costituzionale.
Il terzo posto di Micari, stante la storica debolezza del Pd in Sicilia, dice anche altro, specialmente alla sua sinistra. Sommando i consensi di Micari e Fava la sinistra unita, comunque, si sarebbe attestata dietro il Movimento Cinque Stelle. E l’allarme scatta pure per i candidati Pd che saranno chiamati a fronteggiare centrodestra e Movimento Cinque Stelle nella quota uninominale, una volta importante serbatoio di voti e che oggi rischia fortemente di segnare le sorti dei risultati del centrosinistra nella quota maggioritaria, residuale rispetto a quella proporzionale ma che sarà determinante per decidere chi sarà a dare le carte in un ipotetico governo di larga coalizione. Se fino a ieri il Pd era abbastanza sicuro di poter replicare lo schema del post-2013, nel quale era il Pd a dare le carte, oggi il quadro si fa più confuso: un rebus che peserà e non poco nei prossimi mesi.
Di Maio cancella il dibattito tv con Renzi e vola negli Usa per incontri al Congresso e al Dipartimento di Stato
Con la cancellazione del dibattito tv tra Di Maio e Renzi, con il primo che volerà negli Usa già nel fine settimana per non meglio chiariti incontri con esponenti del Congresso e del Dipartimento di Stato la rincorsa del Pd appare già col fiato corto, specie se in settimana si aprirà la prima vera resa dei conti dopo la vittoria dell’ex premier alle primarie del Pd. Di certo c’è che, ancora una volta la Sicilia ha rappresentato lo spartiacque tra passato e futuro. E forse molto più di prima.