Le indagini continuano e Malta aspetta l’arrivo dell’Fbi per l’omicidio di Daphne Caruana Galizia, la giornalista fatta esplodere a Malta nella sua auto, una Peugeot 108 presa in affitto. Conosciuta ai più per le sue inchieste considerate scomode ai poteri alti, ha lavorato per anni al caso delle Panama Paper , nel particolare nei Malta files. Secondo la denuncia fatta dalla Galizia proprio nella piccola isola del Mediterraneo ci sarebbe il paradiso (pirata) fiscale europeo
Minacce di morte, l’ultima 15 giorni prima di morire
Le denunce però non sono bastate. Alle quindici del 16 ottobre la blogger é uscita di casa mettendosi in macchina ed è morta qualche secondo dopo. Alcune fonti locali parlano di un dispositivo fatto esplodere a distanza, forse con un telefono cellulare. Il primo a chiamare i soccorsi sarebbe stato uno dei suoi tre figli che era in casa in quel momento.
Tra i primi a condannare l’atto é stato il premier maltese Joseph Muscat, considerandolo un gesto barbaro e imperdonabile. “Caruana Galizia era fortemente critica nei miei confronti – ha detto – sia dal punto di vista politico che personale, ma nessuno può giustificare questo atto barbaro”. Poi ha annunciato: “Non mi fermerò finché non verrà fatta giustizia”.
Secondo le indagini e le notizie riportate dalla giornalista, Muscat era tra i nomi del Malta Files ed era in affari, tramite la moglie, con gli Emirati Arabi. Fondi e tangenti in cambio di accordi in ambito energetico.
Il premier si è sempre detto convinto di poter dimostrare la sua innocenza ed è stato lui a chiedere l’apertura di un’inchiesta. Ma lo scandalo che lo travolse fu molto grande costringendolo e elezioni anticipate. In quell’occasione Garizi dichiarò che avrebbe lasciato il Paese qualora avessero vinto di nuovo i laburisti perché per lei sarebbe stato troppo pericoloso. E così di fatto è stato. L’ultimo post pubblicato dalla giornalista risale a qualche minuto prima della morte scrivendo che nel Paese c’era una situazione disastrosa e che era pieno di criminali.
Le parole del figlio: “Governo di corrotti”
“Mia madre è stata assassinata perché si è trovata in mezzo tra la legge e coloro che cercano di violarla, come molti altri giornalisti coraggiosi”, ha scritto su Facebook Matthew Caruana Galizia, figlio di Daphne, che fa parte del Consorzio di giornalismo investigativo che ha scoperto lo scandalo dei Panama Papers e il successivo filone maltese. “Ma è stata colpita anche perché era l’unica a farlo. Ecco cosa accade quando le istituzioni dello Stato sono incapaci: l’ultima persona che rimane in piedi spesso è un giornalista. E quindi – ha continuato- è la prima persona che deve morire. Il governo di Malta ha permesso che si alimentasse una cultura di impunità. E’ di poco conforto sapere che il premier di questo Paese ora dica che non avrà pace fino a quando gli assassini non saranno trovati, quando è lui a guidare un governo che incoraggia la stessa impunità. Prima – ha concluso- ha riempito il suo ufficio di corrotti, poi ha riempito la polizia di corrotti e imbecilli, infine ha riempito i tribunali di corrotti e incompetenti”. Un messaggio duro riferito anche a ciò che ha scritto sui social uno dei poliziotti addetto alle indagini e che ha esultato della morte della blogger, sottolineando come ognuno alla fine abbia ciò che merita.
Una storia che sembra essere un film che gli italiani conoscono bene
Negli ultimi 30 anni sono stati tanti a morire per aver denunciato sistemi corrotti e criminali come la mafia. Giornalisti e magistrati fatti esplodere come giocattoli e molti altri che vivono nella paura e in attesa di pagare il loro conto per aver fatto il proprio lavoro. Tra i messaggi di cordoglio anche quello del giornalista italiano Paolo Borrometi, anche lui conosciuto per essersi messo contro la mafia in Sicilia e per questo scortato dalla polizia. “Cara Daphne: i nostri Paesi hanno bisogno del giornalismo libero di denuncia. Hai la mia stima e, dovunque Tu sia, sono certo continuerai a fare inchieste…Tu donna Libera, continuerai ad essere tale. Malta, però, ha l’obbligo di dare spiegazioni: ha perso, abbiamo perso, una collega straordinaria, una donna libera, un esempio per tutti coloro credono nel giornalismo libero”, ha scritto Borrometi.
E se quello che vediamo somiglia a un film non sarebbe sbagliato sperare in un lieto fine per la sua memoria, per quella delle altre vittime e per chi ogni giorno continua a fare lo scomodo lavoro di raccontare le verità seppellite, nascoste e invisibili nel mondo.