Come ampiamente previsto, Sebastian Kurz ha stravinto le elezioni legislative austriache, compiendo così definitivamente la trasformazione del moderato partito popolare dell’Övp in forza politica decisamente affine ai classici cavalli di battaglia elettorali della destra xenofoba dell’Fpö.
Una vittoria che peserà sul futuro delle politiche umanitarie dell’Unione europea e sugli equilibri di governo dei paesi alleati, Italia in primis. Grazie ad una serie di storiche prese di posizione che vanno dalla chiusura della rotta balcanica fino al dimezzamento dei sussidi ai migranti, Kurz ha di fatto svuotato l’enorme consenso dell’ultradestra e chiuso definitivamente l’esperienza di coabitazione che aveva visto i popolari e i socialdemocratici governare assieme in una grande coalizione del tutto simile a quella tedesca.
E, proprio come in Germania, dall’Austria arriva la conferma dell’innarrestabile declino della socialdemocrazia ormai fuori, se si esclude l’Italia, dal governo delle principali nazioni europee. Non solo. Questa tornata elettorale certifica la crescita di consenso attorno alle tematiche dell’ultradestra e, per la prima volta, la concreta possibilità che un partito xenofobo possa far parte di un governo comunitario, condizionando pesantemente i futuri rapporti con l’Europa.
Nonostante al vincitore siano già giunte le congratulazioni dei leader popolari europei, difficilmente l’Austria sarà in grado di garantire, come in passato, la prosecuzione delle politiche migratorie garantite finora. Pur per storia e posizionamento politico, molto vicini alla Cdu di Angela Merkel, i democristiani austriaci hanno ormai accantonato la politica moderata dei popolari europei preferendo cavalcare i consensi del crescente malcontento per l’inarrestabile flusso migratorio della rotta balcanica, già da tempo sotto gli occhi di ingrandimento dei partners comunitari a causa delle politiche restrittive dell’Ungheria di Orban. Da Vienna, poche settimane dopo la grande affermazione di AfD in Germania, la destra oltranzista si conferma così tutt’altro che sconfitta e determinata più che mai ad erodere, dall’interno, il fragile equilibrio ancora in piedi a Bruxelles.