Quanto un comportamento convenzionale, secondo gli standard americani, può allontanare il sospetto che dietro un individuo all’apparenza normale, si celi uno spietato killer?
Diciannove armi di diversa tipologia, alcune delle quali catalogate come “da guerra” portate all’interno di una camera al 32° piano di un albergo, il Mandalay Bay, situato al centro di una delle capitali mondiali del divertimento, in barba a qualsiasi controllo o sistema di sicurezza.
In fondo l’insospettabile 64enne pensionato americano non presentava i canoni esteriori di uno spietato killer, semmai ce ne siano, ne tantomeno di un miliziano jihadista, ma proprio questa è la problematica che occorre affrontare.
Non è semplice il compito di incasellare la personalità e le abitudini di Paddock tra i vari ambiti della criminologia. Giocatore d’azzardo, cacciatore, amante delle armi e un padre rapinatore. Al di là della passione per le armi, tra l’altro diffusissima negli States, il profilo del killer di Las Vegas potrebbe essere attinente a qualsiasi branca del crimine, non esclusa quella del terrorismo.
In più di un’occasione abbiamo tentato di fornire spiegazioni plausibili sul bacino di reclutamento del Daesh e, prima ancora, di Al Qaeda. Sottolineando il fatto che i predicatori d’odio sono alla costante ricerca di neofiti da indottrinare per scopi jihadisti. Non è quindi azzardato ipotizzare che Paddock sia stato effettivamente attratto da tale ideologia (sì, certo, ideologia e non religione) che vorrebbe imporsi con l’uso delle armi.
Ed è altrettanto plausibile che l’Isis abbia inteso appropriarsi delle gesta di Paddock in chiave induttiva, nel tentativo di avocare a se la tattica seguita dal 64 enne che gli ha permesso di arrivare indisturbato a compiere una strage senza precedenti.
La rivendicazione quasi immediata del Daesh fa parte di uno schema già noto seguito dallo Stato Islamico. Nessuno potrà smentire il proclama del Califfato teso a presentare il defunto Paddock come un convertito divenuto soldato agli ordini di al-Baghdadi in considerazione dei percorsi di radicalizzazione seguiti da molti “lone wolf” che da insospettabili cittadini si sono trasformati in feroci esecutori di omicidi e stragi indiscriminati con un semplice auto-indottrinamento.
Gli organi di stampa d’oltreoceano sembrano più spinti a smentire ipotesi che ad accreditarne altre
Si scrive di un lupo solitario e su questo non sussistono dubbi, di uno psicopatico, e sfido a dimostrare il contrario, ma non ci si concentra sul punto focale. Come può un lupo solitario, psicopatico, di 64 anni riuscire a portare al 32° piano di un hotel un bagaglio di ben 19 armi, che di portatile hanno solo il nome, senza il benché minimo sospetto da parte di alcuno?
Non vogliamo avanzare l’ipotesi che nel trasporto ai piani abbia fruito dell’ausilio del lift addetto all’albergo, né tantomeno soffermarci sugli addetti alla pulizia delle camere ma, all’atto della rottura delle due vetrate di cui la camera di Paddock era fornita, qualche lievissimo dubbio avrebbe anche potuto sfiorare gli occupanti delle altre room, se non altro perché seguita dagli spari a raffica.
Ma si sa, siamo in America. Tutto potrebbe addirittura rientrare in un ambito di normalità se non fosse che 59 persone ci hanno rimesso le penne ed altre 500 hanno rischiato di fare la medesima fine.
Ed appare altrettanto normale che un cittadino americano possa tranquillamente acquistare una quantità di armi tale da fare invidia ad un arsenale militare, senza che nessuno imponga un controllo sui precedenti penali e psicopatologici dell’acquirente. Ma anche l’appello all’unità della nazione, la corsa alla candela commemorativa o la fila alle banche del sangue all’indomani della strage, possono apparire normali, se non fosse che tutta questa normalità stride con eventi che, seppur non ipotizzabili, avrebbero potuto essere comunque affrontati, se non evitati, con un atteggiamento sicuramente meno democratico, ma probabilmente più redditizio sul piano della sicurezza nazionale.
“Dobbiamo trovare il giusto equilibrio tra la difesa dei cittadini e la tutela dei diritti costituzionali”: questo è il concetto tipico ribadito in più di un’affermazione dagli esponenti politici o della sicurezza intervistati in questi ultimi due giorni. Ma una domanda sorge spontanea: il diritto costituzionale non dovrebbe essere teso a garantire anche la sicurezza dei cittadini?