La svalutazione dell’euro significa guadagni per gli esportatori tedeschi e dunque per la Germania. Con questa traccia è facile comprendere la ragione delle crisi prospettiche in seno all’Unione europea, crisi che in fondo corrispondono allo stesso obiettivo delle mille crisi passate di Atene e del golpe a suon di spread imposto all’Italia coi sorrisini beffardi di Merkel e Sarkozy nel 2011: tenere l’euro basso per favorire gli esportatori centro-europei, tutto il resto è entropia di relativamente facile gestione avendo il controllo dei gangli direttivi dell’EUropa.
Oggi abbiamo un paio di crisi prospettiche in Ue a cui, chiaramente, Berlino si guarda bene dal porre rimedio. La tentata indipendenza della Catalogna e la prossima crisi da debito italiana, inevitabile visto che non si sta facendo assolutamente nulla per fermare la progressiva crescita del debito pubblico, che ormai veleggia verso il 140% del PIL (ossia il livello che scatenò la richiesta di misure lacrime e sangue ad Atene).
In più la recente instabilità politica tedesca, foriera di un prossimo irrigidimento dei parametri austeri Ue verso i paesi periferici (visto che la FPO, partito di destra, ha già chiarito la sua posizione contraria a pagare per le cicale sud europee) depone per un giro di vite contro chi non ha i conti a posto. Insomma, un canto del cigno per la Germania flessibile ipotizzata – e mai nata – da Schultz in campagna elettorale.
Il problema in tutto questo per Berlino è duplice
Da una parte Londra non supporta più il progetto Ue, ossia è anch’essa interessata a ridurre le importazioni tedesche che, ricordiamo, assommano a circa 93.9 mld di USD (2015). Dall’altra gli Usa di Trump, anch’essi votati a ridurre l’import per bilanciare la propria bilancia commerciale oltre che a far svalutare il dollaro (l’export tedesco in Usa: 122 mld USD, nel 2015). E, si sa, al verdone è agganciato lo yuan, che andrà a svalutarsi anche lui, direi anche più del dollaro, assieme a quasi tutte le valute emergenti. Da tale quadro deriva un attacco agli interessi di Berlino, che vive di export: minore export, minore occupazione, minori profitti, minori tasse ossia minore benessere ovvero maggiore malcontento atteso a nord del Gottardo nei prossimi anni. È dunque, se con l’SPD di Schultz in coalizione sarebbe stato possibile sopperire ai minori acquisti extra Ue con maggior impulso ai consumi continentali da innescare con una riduzione dell’austerity, l’ultima tornata elettorale tedesca ha costretto tutti ad un brusco risveglio, l’austerità dovrà continuare con la coalizione di destra assieme all’FDP (e con AfD a soffiare sul fuoco del malcontento). State certi che anche la supposta instabilità elettorale tedesca verrà usata – per quanto possibile – al fine di svalutare l’euro, nessuna occasione va sprecata. Con questa premessa si comprende facilmente la mossa apparentemente assurda di Juncker quando ha affermato che Ue accetterà il risultato della sfida indipendentista catalana, smentendo clamorosamente gli sforzi di Madrid che durante un anno intero ha impostato la propria difesa contro il voto indipendentista di Barcellona sulla nullità del referendum, approccio per altro costituzionalmente corretto. La smentita dell’Ue, oltre ad avere il sapore del tradimento per un alleato storico di Berlino (gran parte dei nazisti fuggiti dopo la fine della guerra ripararono a Madrid), deriva appunto dalla volontà di una destabilizzazione programmata dell’Ue con il fine di indebolire l’euro, per favorire le economie centro europee.
A questo si aggiunga il piano mediaticamente sotterraneo (ma chiarissimo a livello di Cancellerie) di confronto con gli Usa sui vari teatri caldi internazionali da parte dell’asse franco-tedesco – si noti bene, comandato da Berlino – con il fine di sostituirsi a Washington al comando dell’Ue (questo evidentemente era l’accordo con Obama ed i Dem Usa in caso di vittoria di Hillary Clinton) ed abbiamo il quadro completo.
Non è infatti un caso che Germania e Turchia giochino la stessa partita sia sui migranti bloccati ad arte – e dietro pagamento europeo con decisione unilaterale di Angela Merkel – da Ankara con tempismo perfetto al fine di piegare l’irredentismo eurico di Atene che nella guerra in Siria, oltre all’attivismo diplomatico tedesco a favore di Doha nella disfida con l’Arabia (vicina a Trump). E senza dimenticare che Berlino è il primo investitore in Cina, da dove derivano gran parte dei propri profitti aziendali (ossia esportazioni, immaginate che succederà con la svalutazione dello yuan, export tedesco in Cina: 78.6 mld USD, nel 2015).
Tutti gli attori che prima si muovevano sotto il cappello della Fondazione Clinton oggi sembrano coordinati della rinascente potenza teutonica, fatto per altro preconizzato pubblicamente da Obama durante la sua ultima visita di Stato in Germania post elezioni presidenziali.
Tutto questo è chiaramente a svantaggio Usa, che oggi vuole prima di tutto interrompere la spirale di consumi eccessivi e di debito enorme che si sta accumulando nei suoi conti, mettendo a rischio la propria egemonia globale.
Si comprende dunque la cautela tedesca nel trattare l’Italia, che va certamente neutralizzata in quanto storicamente troppo vicina agli Usa ma senza giustificare – facendo emergere mediaticamente una forma di coercizione, dicesi mettere all’angolo Roma – una eventuale uscita dalla moneta unica, scenario vieppiù di gradimento Usa per i motivi sopra esposti.
Quindi, l’Italia e già terreno di scontro tra sfere di influenza franco-tedesche e Usa e nemmeno se n’è accorta…. (o almeno, i politici al governo che – non si sa per quale ragione – fanno finta di non accorgersene).