Si potrebbe parlare quasi di un colpo di scena se il palcoscenico non fosse così tragico. L’Isis si aggiorna e riconosce la parità tra uomini e donne ma, beninteso, solo per farsi esplodere.
Le sconfitte indelebili subite sui campi di battaglia, infatti, non sembrano avere intaccato la vitalità del Califfato che, seppure in evidente difficoltà, considera ancora aperta la partita nel campo avverso, il territorio europeo.
Gli strateghi del Daesh, se da una parte impongono ai miliziani il combattimento sino alla morte nelle residue aree sotto il loro controllo per mostrare i sintomi di un’insperata riscossa, dall’altra traggono benefici in termini di visibilità mediatica dagli attacchi perpetrati contro la fortezza Europa dalle cellule e dai singoli votati alla Jihad.
Non deve quindi stupire se la scelta per le prossime azioni potrebbe cadere sulle donne considerate, dagli analisti europei, come operativi insospettabili e non meno determinate dei loro colleghi uomini.
Dalla figura di Umm’Umara Nusayba, storica figura femminile coinvolta in prima persona in numerose battaglie combattute a fianco del Profeta dell’Islam, sino ad arrivare alle vedove in nero cecene, tragiche protagoniste dell’attacco al teatro Dubrovka di Mosca nell’ottobre 2002 ed ancora al recente attentato del luglio scorso a Mosul perpetrato da una donna che si accompagnava al figlio, la striscia di sangue che coinvolge le donne della jihad potrebbe ancora prolungarsi.
Dal 2014, quando iniziò una campagna condotta dall’Isis tramite le piattaforme Telegram e Twitter per l’arruolamento di spose occidentali per i mujaheddin al solo scopo di affiancarli, si è arrivati alla fine del 2016 alla creazione della Brigata al Khansaa, una sorta di polizia femminile in seno all’Isis per il controllo della moralità delle donne nei territori del Daesh.
Ma i segnali di una riconsiderazione della figura femminile nel sentiero della jihad si sono già avuti anche in Francia, con l’arresto di un gruppo delle quattro jihadiste francesi intenzionate a colpire le stazioni ferroviarie di Parigi nel settembre 2016, ed in Marocco, nell’ottobre dello stesso anno, con lo smembramento di una cellula terroristica composta da sole donne pronte ad immolarsi in nome del Daesh.
Proprio le donne potrebbero quindi rappresentare una new entry nel campo dei sospettabili anche, e soprattutto, in considerazione della presenza di una nutrita schiera di convertite che, oltre ad abbracciare la fede musulmana, avrebbero inteso spingere il proprio credo sino al sacrificio più estremo, candidandosi per le missioni suicide.
Le autorità delegate alla sicurezza nel nostro Continente hanno messo in campo migliaia di uomini uniti alle più avanzate tecnologie nel tentativo di scongiurare nuovi attacchi, ma i fatti riconoscono all’Isis un’ampia gamma di opzioni da attuare per continuare a colpire gli infedeli.
E in un’ottica di contrattacco del Daesh in territorio europeo, i cui inquietanti segnali erano tangibili anche prima dell’ultimo attacco a Londra, le mujahide costituiscono un campo investigativo probabilmente sottovalutato almeno in relazione a loro paventato utilizzo in Occidente.