Ancora una volta, in mancanza di un intervento parlamentare, potrebbe essere direttamente la Consulta a decidere su come gli italiani torneranno al voto nel 2018 (salvo imprevisti). Dopo la bocciatura della legge elettorale dell’Italcum, l’ex senatore liberale Enzo Palumbo, tra gli artefici del suo affossamento, torna a parlare dello scenario elettorale italiano con ofcs.report della pericolosa discrasia tra i sistemi elettorali di Camera e Senato, differenti come non mai nella storia repubblicana ma anche della questione di legittimità costituzionale che assieme ad altri giuristi, come Alfonso Celotto e Tommaso Magaudda, intendono sollevare nei tribunali italiani.
“Abbiamo intenzione di porre all’attenzione della Corte due diversi percorsi argomentativi, tre di carattere particolare e due di carattere generale”, spiega Palumbo a ofcs.report. “Circa le prime tre, contestiamo, anzitutto, la costituzionalità dello sbarramento del 3% alla Camera introdotto per evitare la frammentazione ma – ricorda – questo non è certo un parametro costituzionale. Il criterio principale, semmai, è quello della rappresentatività”.
Altro punto non chiarito è quello delle pluricandidature
La Corte, dice l’ex senatore “non ha mai affrontato la disparità evidente tra i capilista (che possono candidarsi anche in altri collegi) e quelli che non lo sono, per il quali, invece, la pluricandidatura non è ammessa”. Un altro punto sul quale Palumbo, Celotto e gli altri giuristi punteranno riguarda poi la soglia di sbarramento del Senato, irragionevolmente alta rispetto a quella della Camera. “Visto che al Senato si elegge la metà dei parlamentari rispetto alla Camera – sostiene Palumbo – sarebbe stato semmai più logico il contrario”. Tutto questo impianto sarà poi rafforzato da altre eccezioni che riguardano, secondo i ricorrenti, un iter legislativo costellato da numerosi profili di illegittimità, non solo costituzionali, ma anche regolamentari ad esempio “la mancata conclusione dei lavori della commissione Affari costituzionali del Senato” e “il ‘supercanguro’ che ha, di fatto, silenziato gli emendamenti in aula”. Non solo. La sostituzione di alcuni membri dissenzienti in sede di lettura in commissione “comporterebbe la violazione del divieto di mandato imperativo, sancito dall’articolo 67 della Costituzione” senza dimenticare “la questione di fiducia votata con appello nominale nonostante fosse stato richiesto il voto segreto”.
Questo caos, secondo l’ex senatore, avrebbe una via d’uscita, l'”uovo di Palumbo”. La disomogeneità tra leggi di Camera e Senato, difatti, sarebbe superabile con una serie di tagli chirurgici al decreto legislativo 533 del 1993 il quale, nel regolare l’elezione al Senato rinvia, in caso di fattispecie non previste, alla normativa della Camera. Ecco come, in caso di una (ennesima) vittoria del fronte ricorrente gli italiani potranno così riassaporare, dopo 26 anni, il profumo della mai veramente sepolta gloriosa prima repubblica.