Per un italiano su due nel nostro Paese la tortura non esiste. Allo stesso tempo, una percentuale che sfiora l’80% crede che i diritti umani siano potenzialmente violati in tutto il pianeta, mondo occidentale compreso. I numeri della ricerca di Amnesty International (pubblicati in occasione della Giornata internazionale per le vittime di tortura, il 26 giugno) ci dicono come intorno al dibattito sul reato di tortura nel nostro Paese ci sia ancora molta confusione. I casi di violazione più noti (secondo le procure italiane, anche se non sempre confermati dai rispettivi tribunali) sono quelli del G8 di Genova (scuola Diaz e caserma di Bolzaneto), la morte di Stefano Cucchi e l’omicidio di Giulio Regeni, avvenuto però in Egitto. Tre eventi distanti e diversi che hanno in comune una sola cosa: le vittime e i loro parenti continuano a chiedere giustizia.
Proprio per le torture della scuola Diaz, l’Italia ha ricevuto pochi giorni fa l’ennesima multa dall’Unione Europea per non aver ancora regolamentato il reato di tortura. Il disegno di legge passato in Parlamento è infatti risultato inadatto all’esame della Corte Europea dei Diritti dell’Uomo. Il testo, già contestato dalle Ong, tra cui Amnesty International e Antigone in prima fila, e dai favorevoli all’introduzione del reato di tortura, contiene una definizione del reato considerata inadeguata agli standard internazionali. Secondo il Ddl, può essere accusato di tortura chi ha compiuto atti di grave violenza e crudeltà, o ha perpetrato trattamenti inumani e degradanti. La tortura psicologica sussiste solo nel caso, accertato, in cui la vittima abbia subito un trauma psicologico. Ma a preoccupare il commissario per i diritti umani Nils Muisnieks, firmatario della lettera indirizzata a Roma, è il fatto che per essere processati bisogna aver commesso il fatto più di una volta. Una postilla che a qualcuno suona come una scappatoia.
Ma perché è così difficile il dibattito intorno al reato di tortura nel nostro Paese?
Come dimostra la ricerca di Amnesty, dobbiamo confrontarci con un’ignoranza di base che, associata alle posizioni di alcuni partiti politici, crea un corto circuito. La discussione del ddl, in Parlamento da mesi, è stata caratterizzata da numerose fasi animate, incentrate soprattutto sul termine sicurezza. Tra i ferventi contrari all’approvazione, l’ex ministro Giovanardi, che l’ha sempre definita una “micidiale arma contro le forze dell’ordine”. Proprio Giovanardi è stato autore di un acceso intervento nello scorso luglio contro l’avvocato Fabio Anselmo (legale di numerose famiglie, tra cui quella Cucchi, Aldrovandi e Magherini), accusato di voler inventare un reato che non esiste e di una “criminalizzazione preventiva delle forze dell’ordine”. Ad essere punite dalla Corte di Strasburgo, però, sono proprio le pene per i colpevoli dei fatti del G8, ritenute essere inadeguate.
D’altra parte, sarebbe ingenuo far finta che la tortura non sia un affare di Stato. Nel discusso decreto, se il reato è commesso da un pubblico ufficiale in servizio, la pena minima sale da 5 a 12 anni (invece che da 4 a 10). Lo sottolinea anche la Camera penale di Firenze sull’ultima ipotesi di riforma: “E inaccettabile, poiché non abbandona il concetto individualistico del rapporto tra autore del reato e persona offesa, ignorando che la tortura non è un fatto tra due soggetti, ma tra Stato e cittadino”.
Lo scorso aprile l’Italia aveva patteggiato, proprio alla Corte di Strasburgo per i fatti del G8, ammettendo i maltrattamenti e versando 45mila euro a sei cittadini coinvolti nelle vicende di Bolzaneto. Un tentativo di mediazione a sostegno di un vuoto normativo che a fatica si cerca di riempire. In Senato, in occasione dell’approvazione del ddl, era presente anche la madre di Federico Aldrovandi , dimenticato, come altri, dagli intervistati di Amnesty International. Ma la maggioranza del Paese sembra essere cosciente del problema. Ben sei intervistati su 10 chiedono all’Italia di dotarsi, dopo 30 anni di dibattiti, di una legge che punisca il reato di tortura. E 25 milioni di italiani vorrebbero che il Governo si impegnasse nella condanna delle violazioni dei diritti umani in tutto il mondo.