Una delle più grandi isole di rifiuti fluttuanti del Pianeta potrebbe essere più vicina di quanto pensiamo. Il Mar Mediterraneo si classifica tristemente nelle sei zone di maggiore accumulo di rifiuti galleggianti della Terra. A dirlo è una ricerca di Legambiente, Clean up the Med, la più grande campagna di volontariato “da spiaggia” mai organizzata, che ha portato alla luce una situazione preoccupante sui litorali mediterranei, Italia inclusa.
Più di cento spiagge monitorate nel 2017, in tutto il bacino del Mediterraneo (di cui 29 in Italia), hanno portato alla luce quasi 60.000 rifiuti, 561 ogni 100 metri: buste di plastica, mozziconi di sigaretta, tappi di bottiglia, stoviglie e cotton fioc quelli più diffusi. Non solo oggetti gettati sull’arenile, i rifiuti arrivano da navi e barche, dagli scarichi di case private e fabbriche, e vengono trasportati dalle correnti marine fino ai punti più nascosti. Qualche settimana fa, il The Guardian ha raccontato come un piccolo atollo disabitato nel mezzo dell’Oceano Pacifico sia uno dei luoghi più inquinati del mondo, coperto da 38 milioni di pezzi di plastica. Il marine litter raggiunge tutti i luoghi del pianeta, creando danni enormi per il suo ecosistema. Quasi l’80% delle tartarughe marine muoiono per l’ingestione di rifiuti, ma gli stessi microorganismi che nutrono i pesci di cui ci alimentiamo si cibano di micro-plastiche, entrando nella nostra catena alimentare. Come scrive Julie Andersen sul Los Angeles Times: “Esiste una grossa bugia sulla plastica – che si possa buttare via. Ma non è vero, non esiste nessun via”. I materiali che finiscono in mare, infatti, non sono quasi mai biodegradabili e rimangono nell’acqua o sulle spiagge per decenni, disgregati dai raggi ultravioletti che finiscono per trasformarli in residui invisibili.
Sulla penisola italiana ogni 100 metri di spiaggia si trovano 15 buste di plastica, una media inferiore a quella europea (25), che denota comunque una tendenza al marine litter (l’inquinamento umano di laghi, mari e oceani). Legambiente e Goletta Verde da anni indagano questo fenomeno sui litorali italiani, anni che sembrano passati senza trovare rimedi e soluzioni. Alcune Regioni hanno reso più severe le pene per chi abbandona rifiuti sulla spiaggia, ma i mari soffocati dai rifiuti non smettono di crescere. Un danno non solo per la salute, ma anche per il turismo e l’economia. Nell’epoca della condivisione e delle recensioni online, TripAdvisor si riempie di immagini di litorali inquinati e colmi di rifiuti. Non certo una buona pubblicità per chi cerca di incrementare il flusso turistico durante i mesi estivi. I danni dell’inquinamento sono quantificabili in 8 miliardi di dollari l’anno: più di 400 milioni proprio per la pulizia delle spiagge, circa 60 per il settore pesca, insieme vittima e colpevole della contaminazione.
Durante la Giornata degli Oceani, lo scorso 8 giugno, Legambiente ha presentato all’Onu una gamma di soluzioni per salvaguardare mari e spiagge dall’invasione della plastica. Sette punti che prevedono una più ampia collaborazione internazionale, ricerca scientifica e un lavoro sulla consapevolezza dei cittadini. Un lavoro discusso anche due giorni dopo il G7 di Bologna. Analizzando le tipologie dei rifiuti (secondo un protocollo sviluppato dal Technical Subgroup on marine litter) emerge come una grossa fetta dei detriti arrivi da packaging e prodotti usa e getta. Proprio per questo l’attenzione maggiore, come ha dichiarato il direttore generale di Legambiente Stefano Ciafani, si concentra sull’abolizione delle buste di plastica in tutti i Paesi del Mediterraneo entro il 2020. Grazie alla legge del 2006 (che vieta i sacchetti di plastica non compostabili), in Italia si è registrata in dieci anni una riduzione del 50% dei sacchetti di plastica in mare.
“Turn the tide”, cambiare la corrente e il ciclo della plastica per salvare il destino degli oceani, e quindi quello umano, rimane una sfida globale. Secondo il segretario generale dell’Onu Antonio Guterres, “lo stato degli oceani è preoccupante come mai nella storia e il rischio concreto è che nel 2050, il numero dei pesci nei nostri mari sia inferiore a quello dei rifiuti di plastica”.
Sebbene la consapevolezza ambientale sia esponenzialmente cresciuta negli ultimi decenni, i governi sono spesso più indietro rispetto alla citizen science. Mentre Trump annunciava l’ uscita degli Stati Uniti dagli accordi di Parigi sul clima, il 9 giugno sulle coste della California sono state rimosse 700,000 libbre di rifiuti. Come riporta il San Francisco Chronicle, proprio l’evento newyorchese delle Nazioni Unite ha coinvolto la California Coastal Commission nel Cleanup Day. Nello stesso giorno, anche in India è stata inaugurato il Beach Marine Environment Protection Council, un’iniziativa alla quale hanno partecipato istituzioni scolastiche, albergatori e associazioni turistiche, per ripulire i tratti di costa nei pressi delle proprie attività. I Paesi in grande crescita come India e Cina hanno sviluppato una particolare sensibilità verso la sorte dei nostri oceani, perché responsabili di una grossa percentuale della produzione globale di plastica (322 milioni di tonnellate nel 2015).
Di fronte a questi dati allarmanti e destinati a crescere, l’iniziativa indiana medita di portare avanti lo sviluppo di nuove strategie di riciclo e limitazioni degli scarichi a mare. Ma anche altri Paesi stanno regolando in maniera decisa l’uso della plastica. In Indonesia l’obiettivo è abbattere del 70% il marine litter entro il 2025, l’Uruguay è pronto a inserire una tassa sulle buste usa e getta, mentre Rwanda, Bangladesh e Kenya hanno già bandito i sacchetti di plastica. Gli Stati Uniti, insieme al Canada, hanno previsto inoltre di bandire i microgranuli di polietilene utilizzati in numerosi prodotti cosmetici, non biodegradabili e considerati alla stregua delle sostanze tossiche. Leggi e regolamentazioni da un parte, iniziative popolari dall’altra, per rimediare alle 150 milioni di tonnellate di rifiuti già presenti nei nostri oceani. Ad aiutare i cercatori di plastica nella corsa al rispetto ambientale, arriva il supporto della tecnologia. The Plastic Tide utilizza i droni per rintracciare i rifiuti lungo le coste della Gran Bretagna. Dalla pagina del sito si accede alle foto aree scattate dai droni e all’interno di ogni immagine si possono taggare e classificare i vari tipi di rifiuti. Un punta e clicca per la salute del Pianeta.