Una riflessione sulle carceri. L’occasione della dismissione del complesso carcerario di San Joseph e Saint Paul a Lione, offrì a John Berger, critico d’arte, scrittore e pittore britannico, l’opportunità di scrivere un testo, “Mentre lei sogna – lettera aperta sulle carceri a Raymond Barre, sindaco di Lione”, pubblicato nel 2000 su Le Monde diplomatique, trasformando, attraverso la poeticità del suo scritto, un evento locale e circoscritto nel tempo, in una riflessione universale e atemporale sulla disumanità delle carceri.
La proposta dell’autore, nella lettera, è quella di sostituire i due ettari ricoperti dal carcere con un meleto, i cui alberi, per prosperare, avrebbero bisogno di 6-8 metri di spazio, mentre, come sottolinea Berger a conclusione del suo scritto, le celle del carcere misuravano appena 3×3,36 metri.
Il diritto a vivere dignitosamente. La Corte Europea dei diritti dell’uomo di Strasburgo ha stabilito che il detenuto in celle multiple “deve avere a disposizione come minimo tre metri quadrati di superficie calpestabile, perché in caso contrario la mancanza di spazio vitale è ritenuta talmente grave da dare adito alla forte presunzione di una violazione del carcerato a non essere sottoposto a trattamenti inumani e degradanti”. Molto meno dello spazio di cui ha bisogno un albero per prosperare.
Il destino del carcere di Lione. Nel 2010 il complesso carcerario di San Joseph e Saint Paul è stato trasformato in appartamenti, con un ambizioso progetto di riqualificazione e reintegrazione negli spazi urbani circostanti.
Lo scritto di Berger per immagini. Il lavoro di Patrizia Bettarelli, che ha illustrato attraverso 13 tavole la lettera di Berger, esposte alla galleria La Nuova Pesa in una mostra appena conclusasi, riporta alla ribalta, a poco più di quattro mesi dalla scomparsa dell’autore, il tema delle carceri, come luogo di sogni e di disperazione.
La disperazione dei detenuti. Secondo Stefano Anastasia, garante dei detenuti del Lazio e docente di Filosofia e Sociologia del Diritto nella Università di Perugia, intervenuto al dibattito organizzato in occasione della mostra, quanto sancito dall’articolo 27 della Costituzione, ovvero che le pene “devono tendere alla rieducazione del condannato”, ingenera spesso nelle persone l’idea del carcere come opportunità, facendo perdere così la dimensione della disperazione che lo attraversa.
La pena, come dice la parola stessa è sofferenza, e il volerne fare qualcosa di diverso, di rieducativo è un progetto ambizioso.
La verità, ha spiegato Anastasia, è che la disperazione si concretizza nell’interruzione dei legami, dei rapporti, dei sentimenti. Insomma stravolge la vita delle persone che, qualche volta, reagiscono con l’autolesionismo o arrivano persino al suicidio (secondo l’Associazione Antigone per i diritti e le garanzie nel sistema penale, nel 2015 sono stati 43).
Il futuro delle carceri. A conclusione del suo intervento, ha sottolineato come l’Istituzione carceraria non sia sempre esistita. Risale a 3-400 anni fa e nasce come superamento delle pene corporali. E’ quindi relativamente recente e l’opera di Berger è uno stimolo a immaginare qualcos’altro, ad avere la libertà di non pensare alle persone in gabbia come unica risposta.
La vera sfida nel dibattito carcerario consiste, pertanto, nel ritenere di poter andare oltre, per dare risposte ferme ma dignitose alla necessità di salvaguardare il contratto sociale.
@SimonaRivelli