Neanche il tempo di metabolizzare la vittoria, clamorosa, attesa ma comunque inaspettata solo pochi mesi fa, e la Francia, assieme a tutta l’Europa, comincia ad interrogarsi sulle tappe che inaugureranno questo inedito corso della quinta Repubblica.
Si è detto che la vittoria di Emmanuel Macron indica la rappresentazione plastica della voglia di cambiamento e di riscatto che da più parti si avvertiva nel vecchio continente. La non vittoria del fronte “patriottico e nazionale” della Le Pen, ora costretta ad avviare un rimpasto se non un vero e proprio maquillage del suo partito, è comunque figlia della paura. Siamo stati abituati, da Brexit fino alla vittoria di Donald Trump, passando per il notevole incremento dei voti dei fronti sovranisti continentali, da quello austriaco a quello olandese, a concepire l’affermazione o la loro mancata vittoria alla paura degli effetti della globalizzazione. La vittoria di Macron è, proprio come la crescita delle aree politiche populiste, frutto della paura, una paura inversamente proporzionale a quella che tutti siamo stati abituati a vedere e commentare. Un fattore questo sottovalutato dai più: per la prima volta in Europa, il timore di vedere sfumare le notevoli opportunità che il mercato comune ha comunque offerto in questi sessant’anni di pace, progresso e crescita, è stato più forte di quello rappresentato da una “invasione” di popoli, mercati e norme non direttamente riferibili dai governi centrali.
Questo dato, pur nella positività che connota i riflessi sui mercati e nelle istituzioni nazionali e sovranazionali è, comunque la si pensi, un assegno in bianco che ora Macron ha il dovere di spendere al meglio delle proprie possibilità, e da subito. Lungi dal voler replicare la stagione dei compromessi al ribasso, che hanno accompagnato il quinquennio di Hollande, Macron è perfettamente consapevole che dopo di lui, oltre lui, vi è il diluvio e la realizzazione di una rivoluzione “all’indietro” che questo maggio francese ha evitato in extremis. Con l’implosione repentina e pressoché totale delle tradizionali forze politiche che, da De Gaulle in poi, si sono alternate al governo del Paese, in Francia ora l’alternativa responsabile, di fatto, non esiste più. E sbagliare durante questi cinque anni di presidenze significherebbe consegnare la Francia e l’Europa ad un futuro incerto e denso di cattivi presagi. La sconfitta della Le Pen ha comunque rivelato un dato importante: il “tutti contro“ il Front National ha comportato, al netto della bassa affluenza, un incremento di credibilità e voti ben maggiori rispetto alla sfida analoga del 2002 tra Chirac e Le Pen padre, il che significa come i nazionalisti siano, oggi, percepiti dai francesi come decisamente meno impresentabili rispetto a quindici anni fa. Un aspetto questo poco notato, poco studiato, ma che peserà inevitabilmente nei prossimi passi del novello enfant prodige dell’Eliseo.
@simsantucci