L’American association for cancer research ha riconosciuto il Papillomavirus umano (HPV) come il secondo agente patogeno responsabile di cancro. Causa il carcinoma della cervice uterina, il secondo tipo di tumore più diffuso nelle donne sotto i 45 anni, ma non solo. L’HPV provoca anche il 70% dei tumori della vagina e il 40% di quelli della vulva.
Un virus che non fa distinzione di sesso
Fin qui si potrebbe pensare che sia un problema tutto femminile. E questo, infatti, è ciò che accade. Secondo una ricerca, effettuata quest’anno dal Censis su un campione di 1200 genitori (volta comprendere il loro atteggiamento nei confronti della vaccinazione anti-HPV), se la quasi totalità degli intervistati associa il virus al tumore al collo dell’utero, solo la metà circa è consapevole che lo stesso è responsabile anche di una serie di patologie, che riguardano solo i maschi o entrambi i sessi: al 90% del tumore all’ano, al 50% dei tumori al pene e al 26% dei tumori al cavo oro-faringeo, più una serie di patologie meno gravi, quali condilomi genitali.
Il nuovo piano vaccinale
Probabilmente, a contribuire all’erronea convinzione che si tratti solo di un problema femminile, è stato il fatto che fino al 2016 sul territorio nazionale il vaccino venisse somministrato gratuitamente alle sole dodicenni, a meno che non fosse diversamente previsto dalle singole regioni. Il nuovo Piano nazionale di prevenzione vaccinale 2017-2019 estende anche ai maschi adolescenti la copertura gratuita sul territorio nazionale.
Una conquista senza precedenti
Quello contro l’HPV è, come sottolinea Nicoletta Luppi, presidente e amministratore delegato di MSD Italia, il primo vaccino contro il tumore. È attualmente in commercio una versione 9-valente che innalza la protezione verso i diversi tipi di cancro dal 75% del quadrivalente utilizzato finora al 90% e dal 50 all’80% verso le lesioni precancerose HPV-correlate. Non è possibile indicare con precisione la data in cui sarà disponibile nelle singole Asl, perché il piano di acquisti dei vaccini è regionale, ma esistono comunque delle direttive del Ministero della salute che sanzionano i ritardatari. Per coloro che hanno effettuato il quadrivalente, secondo fonti sanitarie, sarà possibile integrare la vaccinazione.
La prevenzione
Lo strumento di prevenzione più importante è la vaccinazione. Esistono anche strumenti di prevenzione secondaria, come il pap-test per il cancro al collo dell’utero e l’HPV-test, che permettono una diagnosi precoce. Va detto, però, che attualmente non esistono farmaci in grado di contrastare un’infezione da Papillomavirus.
La ricerca del Censis
Nonostante la diffusione della vaccinazione comporti la possibilità di debellare in un prossimo futuro l’HPV, è in calo il numero degli adolescenti vaccinati. Parallelamente la ricerca ha evidenziato in generale una carenza di informazione nei genitori, in taluni ambiti persino peggiorata rispetto a un’analoga ricerca effettuata solo su un campione di madri nel 2011 (migliora però la consapevolezza che l’HPV si trasmette anche con rapporti sessuali non completi, così come che il preservativo non costituisce una barriera sicura).
“Arrivano informazioni contrastanti e confuse” , lamenta il 32,5% dei genitori intervistati, mentre per il 48,9% sono poche e non sempre chiare. Il ruolo di internet come fonte di informazione è cresciuto in maniera esponenziale: da un 7,5% nel 2011 a un 29,9% nel 2017, ma rimangono fondamentali per l’acquisizione di informazioni anche i professionisti della sanità, i media tradizionali, il servizio vaccinale e il gruppo dei pari (amici, parenti e chiacchiericcio fuori le scuole). E sono proprio i medici, talora, a sconsigliare la vaccinazione. Se il 28,3% degli intervistati ha dichiarato che il vaccino gli è stato espressamente sconsigliato da qualcuno, il 15,7% ha affermato che sono stati proprio professionisti della sanità (ginecologi, pediatri, medico di famiglia o amici medici) a farlo.
Perché non si vaccina?
Tra i genitori che non hanno vaccinato i figli contro il Papillomavirus, il 21% ha addotto come motivazione il fatto che la vaccinazione non elimina la necessità di ricorrere al Pap test. Il 19,7% pensa che non sia il caso di vaccinare una ragazza o un ragazzo per una malattia sessualmente trasmissibile perché ancora troppo giovani. Il 17,8% non si fida del vaccino perché ha sentito che può provocare effetti collaterali gravi, mentre per il 16,2% costituisce elemento di disinteresse il fatto che la vaccinazione non sia obbligatoria e gratuita per i ragazzi di tutte le età. Il rimanente 14% non ha fiducia nelle vaccinazioni come strategia di prevenzione.
Come contrastare il fenomeno
Secondo Ranieri Guerra, direttore generale della Prevenzione Sanitaria del ministero della Salute, è necessario richiamare i medici del Servizio sanitario nazionale alle loro responsabilità contrattuali, affinché non solo non remino contro, ma promuovano una cultura della prevenzione a mezzo vaccino. Inoltre occorrerebbe lavorare in sinergia con le scuole.
Un esempio virtuoso
E’ proprio lavorando con le scuole che a Taranto, ha spiegato Michele Conversano, direttore del Servizio di igiene e sanità pubblica della Asl della provincia pugliese, si sono raggiunte tra le più alte coperture vaccinali. Un modello che si è consolidato a partire dalla vaccinazione per l’epatite B. E’ iniziata una collaborazione con le scuole, fatta di incontri informativi con dietisti, infermieri, personale del consultorio. Riguardo ai vaccini, sono stati coinvolti ragazzi, professori e genitori e, alla fine, le adesioni sono sempre altissime. Aver demedicalizzato la vaccinazione, secondo la sua esperienza, ha aumentato la fiducia della gente nei vaccini. Naturalmente, vengono portati nelle scuole anche i kit di emergenza, ma la possibilità di una reazione allergica è infinitesimamente inferiore a quella cui si va incontro passeggiando nel bosco, per una puntura di insetto.
Il ruolo dei papà
Inoltre, ha aggiunto Alice Pignatti, presidente dell’associazione Io Vaccino, bisognerebbe coinvolgere i padri. La ricerca ha evidenziato che, se da una parte ripongono più fiducia nei vaccini delle madri, dall’altra sono generalmente meno informati. Secondo la sua esperienza, nel web sono in crescita il numero dei padri che si interessano delle questioni inerenti la salute dei figli. Considerato poi che è più probabile che siano loro a parlare con i figli maschi su tematiche legate alla sessualità, sarebbe opportuno che vengano coinvolti nelle campagne informative per la diffusione del vaccino anti-HPV, che finora sono state tarate su un pubblico femminile.
@SimonaRivelli
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