Alla fine, come era prevedibile, Macron ha superato lo spauracchio Marine Le Pen, ponendo fine, vittoriosamente, alla lunga corsa verso l’Eliseo, iniziata in sordina e senza i favori del pronostico. Se non fosse stato per l’autentico cataclisma politico che ha scardinato totalmente, solo due settimane fa, i vecchi equilibri della quinta Repubblica, questo verdetto sarebbe stato uno dei classici esempi di scuola per analizzare i flussi elettorali di chi, stavolta, si è trovato di fronte a una scelta inedita e scontata allo stesso tempo.
Ciò che è accaduto in questa lunga notte in Francia è, comunque, solo un esempio di ciò che, da tempo, si comincia a temere: il crollo verticale dell’establishment storico che regge le democrazie europee è a portata di mano.
L’affermazione di Macron, tuttavia, non lascia affatto salvi i vecchi schemi “Europa sì-Europa no”, ma insinua un corollario che, probabilmente, mette più paura del populismo duro e puro: non è l’Europa il problema, non è l’Europa lo spauracchio, ma piuttosto i vecchi partiti europeisti. Che l’Europa abbia regalato notevoli opportunità per tutti i cittadini del vecchio continente è fatto noto. E’ forse per questo che i francesi, più che dividersi sulla permanenza nella comunità, si sono confrontati su “quale” Europa avrebbe fatto – e farà – al caso loro. Il successo di Macron, è, prima di tutto, un successo per l’Europa dei Trattati, ma rappresenta anche un terribile schiaffo per quella dei palazzi e delle burocrazie ingessate che, ora, cominciano a sentirsi in bilico anche di fronte ad avversari poco carismatici. Macron ha tolto infatti a queste burocrazie lo scettro della difesa del sistema, una difesa molte volte stanca e ripetitiva che però è bastata per sovvertire un ordine vecchio di mezzo secolo.
Di certo la sconfitta di Marine Le Pen sancisce uno stop importante ai populismi continentali. Come in Olanda e in Austria e un pò in tutta Europa, i fronti sovranisti si agitano, scalpitano, allargano i loro consensi ma, al momento decisivo, non sfondano ed escono sconfitti. E la competizione, quasi fatalmente, sembra tornare tutta attorno non al “se” ma al “come” – e a quali condizioni – i governi nazionali intenderanno rimanere in un progetto che, mai come in questi anni, appare racchiuso nei libri di storia. Oggi ne inizia un’altra, da Parigi.