“Qualsiasi tipologia di ricerca scientifica deve sempre tener conto di aspetti etici e non solo di quelli conoscitivi”. A dirlo a Ofcs Report il neurochirurgo Paolo Mazzone, riferendosi al primo trapianto di testa, programmato a fine dicembre di quest’anno.
Professore, in questi ultimi giorni si è parlato molto del trapianto di testa che verrà effettuato da un medico italiano a fine di dicembre, lei cosa ne pensa?
“Qualsiasi tipologia di ricerca scientifica deve sempre tener conto di aspetti etici e non solo di quelli conoscitivi. Una applicazione tecnologica o una procedura tecnico-chirurgica applicata all’uomo deve sempre possedere un elevato coefficiente etico di retroguardia e solidi presupposti scientifici”
Dal punto di vista tecnico ritiene sia una procedura che abbia possibilità di riuscita?
“La realtà è che questo è un trapianto di “corpo” e non di testa. Anche se tecnicamente è possibile farlo, è estremamente difficile la sua realizzazione: esistono limiti intrinseci, dovuti alle caratteristiche del sistema nervoso centrale. Con questo tipo di procedura si devono collegare due sistemi nervosi differenti appartenenti a due corpi diversi. Il sistema nervoso non è un organo che si riproduce. Esiste inoltre la necessità di collegare le arterie e le vene che lo compenetrano e forniscono al tessuto nervoso il nutrimento e l’ossigenazione. Rimane comunque un tipo di intervento tecnicamente difficile, già effettuato in passato come procedura sperimentale sui primati non umani dal neurochirurgo americano White“.
Certo c’è molta curiosità intorno a questo intervento, direi quasi aspettativa.
“Diffido sempre delle notizie scientifiche divulgate attraverso i media e diffuse in sedi non scientifiche. Si creano aspettative non realistiche e imprudenti e spesso servono solo a pubblicità individuali. In effetti non si deve tener conto solo degli aspetti tecnico-chirurgici o della tecnologia correlata. Bisogna capire il motivo per cui si fa questo tipo di operazione: non deve e non può essere fine a se stessa. Lo si fa per dare una speranza? Per dimostrare la propria bravura? Per conoscenza? Per incrementare le possibilità terapeutiche: in quale ambito di patologia? Tutto è possibile, nel futuro anche viaggiare alla velocità della luce, ma alla base devono esserci un obiettivo e una motivazione molto precisa”.
È possibile che questo tipo di intervento venga fatto in Italia?
“E’ una sperimentazione: al momento non credo siano permesse questo tipo di procedure. In Italia meno che mai”.
Dal punto di vista del paziente, cosa può spingere una persona a sottoporsi a un intervento di tali tipo? Ma soprattutto la scelta che prende può bastare a procedere?
“Il paziente deve essere in grado di sapere e conoscere tutto quello che lo aspetta: limiti, vantaggi, rischi collegati a qualsiasi procedura chirurgica. Questo non solo in casi estremi o per uso compassionevole, ma sempre prima anche di un intervento di routine. Il consenso informato ha questa precisa motivazione. Si hanno problemi a fare sperimentazioni sugli animali, eseguire una procedura sperimentale su un essere umano è assai più difficile e problematico. Questo tipo di sperimentazioni dovrebbero essere sottoposte a un comitato etico prima di tutto. Per procedere con tale procedura chirurgica non dovrebbe poter bastare solo il consenso del paziente, ma quello di un insieme di esperti”.
Dopo tanti anni di esperienza lei vede nel futuro della neurochirurgia qualcosa di grandioso con buone probabilità di successo?
“Certamente: la scienza va avanti e con essa si rendono necessarie nuove procedure e sperimentazioni. Io vedo nel futuro della neurochirurgia una sempre maggiore applicazione delle biotecnologie. Negli Stati Uniti ma anche in Europa già è in uso, ad esempio, la “Brain Machine Interface” ossia la possibilità di collegare direttamente le strutture cerebrali ad arti artificiali cibernetici. Un vero e proprio rapporto diretto tra sistema nervoso, robotica e computers. È questa la strada del futuro”.
@spadaro_spadar1