Come è ben noto, negli attacchi statunitensi contro la Siria del 7 aprile, il Presidente Donald Trump non ha rispettato la procedura di richiesta di autorizzazione al Congresso, per muovere guerra contro un altro Stato, anche se la Casa Bianca, secondo quanto detto dal suo portavoce, aveva subito avvisato il Congresso. Questa volta non dovrebbe accadere, visto che l’ordinamento costituzionale statunitense enuncia l’iter procedurale vincolante nell’articolo II, nel caso in cui Trump decidesse di intraprendere azioni militari contro la Corea del Nord non chiedendo l’autorizzazione. Se ciò dovesse accadere, lo stesso Presidente degli Stati Uniti rischierebbe l’impeachment, cioè a dire l’incriminazione.
La questione che si pone è se Trump debba agire per conto proprio o deve anche coinvolgere lo stesso Congresso anche sulla tematica che riguarda l’impiego della forza contro il regime di Kim Jŏng-ŭn. La risposta è molto semplice, nel senso che Trump, volente o nolente, deve rispettare il dettame contenuto nell’articolo II della Costituzione statunitense. Su un eventuale scontro con la Corea del Nord, l’esecutivo del governo statunitense ha assicurato che stavolta agirà assieme alla comunità internazionale e seguirà la decisione del Congresso.
Vi sarebbe la possibilità che il regime nordcoreano possa intraprendere un’azione che richiederebbe subito l’azione di autotutela o di difesa da parte anche di alcuni alleati chiave come il Giappone o la Corea del Sud, che darebbe alito a Trump di poter giustificare l’intervento immediato e unilaterale senza percorrere l’iter congressuale di autorizzazione. Anzi, lo staff del Presidente Trump sta studiando una serie di opzioni per rispondere alle provocazioni di Kim Jŏng-ŭn con i suoi test missilistici. Il fatto che questa volta Trump preferisca consultare l’intera comunità internazionale, sta a indicare che la strada intrapresa dagli Stati Uniti costituisce un’ottima dritta, ma deve fare sempre i conti con quello che sarà deciso in seno al Congresso se approverà o no l’eventuale attacco contro la Corea del Nord, che comporterà da parte dell’amministrazione Trump il rispetto assoluto dell’articolo II della Costituzione, senza dover agire unilateralmente nel caso non abbia l’autorizzazione.
È ben noto che i missili della Corea del Nord non abbiano quella capacità di raggiungere i due Paesi, da sempre non ben visti da Kim Jŏng-ŭn, come il Giappone e la Corea del Sud. Rispetto agli attacchi commessi dagli Stati Uniti nei riguardi della Siria, rammentando che quest’ultima non ha fatto ricorso ad alcuna forma di ritorsione se non quella di una mera nota verbale di protesta, il rischio che la Corea del Nord nel caso di un attacco statunitense possa reagire con ritorsioni o rappresaglie armate contro i suoi vicini possano portare ad una escalation di un conflitto lungo e pericoloso, mettendo a repentaglio milioni di vite umane facendo saltare quel delicatissimo sistema di sicurezza internazionale. Per questo credo che Trump debba non compiere passi azzardati, ma consultarsi con le altre super Potenze, come la Russia di Putin, la Cina, che ha rapporti strettissimi con il regime nordcoreano, come pure con le Nazioni Unite, se si vuole evitare davvero un conflitto mondiale ovvero di una guerra mondiale a pezzettini, come disse Papa Francesco qualche anno fa. Ciò è importante sul piano delle ragioni politiche e giuridiche.
Una visione largamente contenuta nei poteri del Presidente afferma che la legittimità unilaterale della forza militare comporta questo punto, cioè a dire se si prevede che l’uso dello strumento armato possa estendersi in termini naturali, di scopo e di durata. Se la risposta dovesse essere positiva, allora sarà necessario l’approvazione del Congresso. Per quest’ultimo punto, si può ritenere che ciò ha un significato, nel senso che impegnare gli Stati Uniti ad entrare in un conflitto armata non è decisione che può adottare un solo soggetto, anche se è il capo di una importante nazione, ma collettivamente con il Congresso, dato che i padri fondatori hanno deciso che vi deve essere un legame tra il parlamento statunitense e l’esecutivo, nel momento in cui si deve affrontare la tematica concernente lo jus ad bellum. Ecco la ragione per la quale, vedo difficile che Trump possa ricommettere lo stesso errore con la Corea del Nord, senza che imbocchi la strada prima della consultazione e dell’autorizzazione congressuale. Difatti, è riconosciuto che una decisione straordinaria di intraprendere la strada della forza militare in qualunque altro Stato, come quello di coinvolgere altri Stati in un conflitto armato, richiede necessariamente sia la consultazione dell’organo parlamentare statunitense, sia la sua autorizzazione emanata da quest’ultimo, per cui non è possibile che sia un solo uomo a dover decidere liberamente qualsiasi azione che ha carattere bellico, come è accaduto nel caso della Siria, andando oltre quelli che sono i parametri di sicurezza che tengono in equilibrio la comunità internazionale.
Si può ben intendere che il Presidente Trump vuole evitare che il regime della Corea del Nord possa venire a conoscenza dei piani di un eventuale scontro armato, ecco la ragione per la quale lo stesso Trump fa intendere che, in casi delicatissimi, non si perde del tempo perché si rischia di far conoscere al nemico la natura dettagliata di un’ipotetica risposta armata. Il nocciolo del problema concerne l’autorizzazione scritta che deve rilasciare il congresso all’amministrazione Trump, affinchè quest’ultima possa intraprendere l’intervento coercitivo militare contro la Corea del Nord. Trump, dunque, deve sottostare alla decisione del congresso che avrà il compito di decidere se concedere l’ordine scritto di attacco oppure no. Nel caso in cui il Congresso respinga la richiesta dell’esecutivo, il presidente dovrà accettare l’esito negativo e astenersi dall’adottare iniziative personali.
L’altro rischio va focalizzato sul fatto che Trump ritiene che l’approvazione del Congresso può essere anche dato dopo aver agito militarmente. Questo punto è in contrasto con quelli che sono i punti giuridici e politici, pertanto, non accettabile.
Trump non debba andare fuori i binari delle regole sancite dal diritto internazionale, come pure dal diritto interno del suo Paese, altrimenti rischierebbe di minare un sistema di sicurezza già di per sé delicato, che, per lo meno, ha retto dalla fine del II conflitto mondiale sino ad oggi.
Da qualche giorno, Trump ha speso parole distensive, dichiarando che “la priorità della mia amministrazione è quella di risolvere le cose per via diplomatica, anche se è molto complicato”.