Chi non sa li chiama “non udenti”, ma non sono una negazione di qualcosa. Altri li definiscono “sordomuti”, ma il loro apparato fono-articolatorio gli consente di comunicare, di parlare. Sono sordi. Una comunità che non ha bisogno di compassione, ma di diritti. Proprio come quelli che reclamano i lavoratori che, quotidianamente, si occupano di offrire servizi a chi non vede riconosciuta neanche la sua lingua: la Lis. Ma andiamo con ordine. Il 27 aprile una delegazione di lavoratori dell’Istituto statale per sordi di Roma, accompagnata dai rappresentanti del Nidil Cgil, è stata accolta negli uffici del ministero dell’Istruzione, dell’università e della ricerca. Non c’era stato un precedente invito, ma una protesta organizzata proprio sotto la sede del Ministero: “No alla chiusura dell’Istituto statale per sordi di Roma”.
Le ragioni della protesta
A pochi sembra interessare il destino di questo ente “atipico”. Eppure si tratta di un luogo capace di ospitare, in convenzione, il 173° Circolo didattico, la Scuola Media Fabriani, l’Istituto di scienze e tecnologie della cognizione del Consiglio nazionale delle ricerche, 10 associazioni di sordi e 300 studenti in formazione. A pochi sembra interessare che dal 2008, il Miur ha interrotto i finanziamenti destinati a un istituto che, nato alla fine del 900, attende da 19 anni che venga emanato il “Regolamento di riordino” che lo trasformerebbe in Ente Nazionale di supporto all’integrazione dei sordi, dotato di personalità giuridica e di autonomia amministrativa. In realtà un regolamento era stato approvato, prima di essere rimasto imbrigliato nelle maglie della burocrazia e nel rimpallo di responsabilità. E tralasciando per le passerelle politiche, l’Istituto cade frequentemente in un limbo dimenticato dai più. Tanto per capire: oggi, le norme che “governano” l’Istituto Statale per Sordi di Roma, si riferiscono addirittura al decreto Regio del 1925 e a quello ministeriale del 1927. E nel dimenticatoio i lavoratori precari di via Nomentana 54/56, (senza ferie, tredicesime e privati anche dello stipendio del mese di agosto, marzo e aprile) hanno portato avanti e implementato le attività: dalla Mediavisuale fino allo Sportello sulla sordità, passando per il festival del cinema sordo, il Cinedeaf. Non è dunque solo una querelle relativa ai lavoratori, ma anche ai servizi offerti alla comunità.
L’incontro al Miur
Se non altro la protesta dei dipendenti (che da decine di anni lavorano come co.co.co) e dei sordi ha avuto il merito di risvegliare le orecchie del Miur. Il Ministero si sarebbe mostrato disponibile a predisporre una bozza di Regolamento governativo che riordini l’Istituto. Il problema è che occorreranno almeno 12 mesi. E nel frattempo? “Autofinanziamento”. Ma i lavoratori non possono colmare le lacune di chi dovrebbe gestire e regolare una struttura così importante. Ad ogni modo si continuano a cercare soluzioni alternative, che verranno discusse in un incontro con lo stesso Miur, con il Comune, la Provincia e l’Ufficio scolastico regionale.
I diritti negati
Diritti costituzionali negati. I sordi, e i loro operatori, subiscono l’abnegazione del diritto da molto tempo. Tuttavia non si sono mai abituati. E combattono. Come quando, in più occasioni, hanno richiesto che venisse approvata la loro lingua: la Lis. Una situazione anomala se si pensa che in Bolivia, ad esempio, è stata approvata da tempo. Una discussione che va avanti dal 1988, e su cui si espresso anche l’Onu attraverso risoluzioni non vincolanti. Il governo Prodi stava per approvarla. Poi è caduto. Esistono diverse leggi regionali ma riconoscere nazionalmente la Lingua dei Segni Italiana significherebbe rispettare i diritti civili, l’uguaglianza e la dignità delle persone sorde, come cittadini dello Stato italiano. In realtà bisognerebbe partire proprio dalle basi.
Per i bambini sordi niente cartoni in Tv
Ad esempio i bambini sordi, quando accendono la televisione, vedono Peppa Pig ma non possono ascoltare le sue parole. La tv di Stato, secondo le associazioni che si occupano di sordità, non garantisce un adeguato servizio di sottotitolazione. Per i sordi i canali digitali (Rai4, Rai5, Raimovie e RaiPremium) sono inaccessibili. Niente Rai Yoyo e Rai Gulp. E non è una cosa da poco: ciò influisce sulla socializzazione e sull’integrazione di una comunità. Sembra paradossale ma si tratta di diritti per i quali pagano, esattamente come tutti i cittadini italiani. Pagano il canone, ma non possono godere del pieno servizio perché non ci sono sempre sottotitoli. E questo nella migliore delle ipotesi. Qualche tempo fa infatti, l’Ente Nazionale Sordi, aveva dimostrato e denunciato la faccenda scattando alcune foto a una TV intenta a trasmettere un programma per bambini su RAI Gulp, mentre scorrevano i sottotitoli relativi alla vicenda della morte di Stefano Cucchi. Dalla lingua alla tv passando per l’Istituto e i suoi lavoratori: lontano dai riflettori si combatte una battaglia tra chi chiede e chi è sordo. Perché in realtà, il vero sordo, sembra essere lo Stato.