L’Isis a corto di uomini volta pagina e coordina direttamente gli operativi indirizzandoli verso obiettivi molto più semplici, pragmatici. Non più luoghi simbolo dell’Occidente quali teatri, locali pubblici o redazioni di giornali, ma forze di polizia, militari o semplici cittadini.
L’ultimo attacco in Francia
Nel caso dell’ultimo attentato di Parigi, la quasi simultaneità tra azione e rivendicazione e l’utilizzo del kalashnikov ak 47 quale segno di riconoscimento, appaiono come indizi abbastanza nitidi sulla nuova strategia del Daesh. L’autore dell’attacco, Karim Cheurfi, era già noto alle forze di sicurezza francesi ed era stato schedato come elemento radicalizzato, pluripregiudicato e pericoloso. Secondo quanto riportato sulla sua “fiche S”, il presunto attentatore era nato il 31 dicembre 1977 a Livry-Gargan a Seine-Saint-Denis ed era residente a Chelles, sobborgo di Parigi e già in passato aveva manifestato la volontà di uccidere appartenenti alle forze di polizia. Nella casa della madre, durante la perquisizione eseguita dagli inquirenti, sono stati rinvenuti elementi della radicalizzazione tra cui un libro dai contenuti spinti al salafismo più estremo. Karim Cheurfi era stato condannato nel 2003 a 20 anni di detenzione per avere tentato di uccidere 3 uomini nel 2001 a Roissy-en-Brie (Seine-et-Marne), tra cui 2 poliziotti. Nel 2005, la pena era stata ridotta di 5 anni.
La nuova strategia e la catena di comando
Un passato come tanti, un immigrato come molti, ma gli elementi che caratterizzano le modalità dell’azione compiuta da Cheurfi, per molti aspetti, rispecchiano quelle degli ultimi attentati perpetrati in Europa dal 2016 ad oggi dai cosiddetti ‘lupi solitari’. Azioni sporadiche, obiettivi semplici e libertà di azione, caratteristiche che appaiono dettate da ordini giunti quasi inaspettatamente e che, con buona probabilità, hanno quasi sorpreso i prescelti, oltretutto imponendo loro di colpire nell’immediato. La catena di comando, la rete di copertura e le cellule composte da più uomini, hanno lasciato spazio ad un rapporto diretto tra l’apice del Daesh agli operativi sparsi per l’Europa.
Ordini diretti, dunque, non contestabili, soggettivi ed imperativi, ma che lasciano ampio spazio alle iniziative da porre in essere dal singolo. Da qui l’allarme generalizzato in Occidente ed in Europa in particolare, considerato il rischio del rientro dal Medio Oriente di circa 5.000 foreign fighters e dalla cifra approssimativa dei 35.884 sospetti terroristi che si troverebbero in Belgio e Francia.
La Francia ancora nel mirino
A ciò si aggiungano le nuove minacce sul web dirette alla Francia già più volte colpita. “Non godrete della pace fino a quando questa non sarà concretamente vissuta nella terra dell’Islam”, è questo il testo di uno dei messaggi postati sui social media dagli jihadisti che riportano anche un’altra minaccia: “Quello che verrà sarà peggio”. L’Isis, quindi, continua a fomentare azioni contro il Paese transalpino in un momento cruciale in vista del ballottaggio del prossimo 7 maggio che, oltre che consegnare ai francesi una nuova presidenza, potrebbe essere determinante anche per le sorti dell’Unione europea.
I rapporti tra Isis e Al Qaeda
Allo stesso tempo l’Isis sta intrattenendo colloqui con i vertici di Al Qaeda per tentare di fondersi in un’alleanza anti-occidentale. Messaggeri del leader Abu Bakr Al Baghdadi e la controparte di Al Qaeda, formata da emissari di Al Zawahiri, hanno discusso su come utilizzare in sinergia le proprie forze superando le profonde divisioni ideologiche.
Nel suo recente messaggio, il leader di Al Qaeda, Ayman al Zawahiri, ha sottolineato che “Daesh non sarà sottomesso da nessuno eccetto Dio” e raccomandato ai mujaheddin di prepararsi per “una lunga guerra in Siria”. Aggiungendo, inoltre, di “non sprecare le vostre forze nella conquista di territori, il vostro obiettivo è distruggere il morale dei vostri nemici”, in ciò ribadendo la differenza strategica di AQ, che ha da sempre voluto percorrere la via dell’internazionalizzazione della jihad, con l’Isis che persegue, invece, le conquiste territoriali per diffondere il credo islamista radicale.
L’Isis e l’apertura del fronte del Sinai
Dopo i rovesci militari subiti in Siria ed Iraq, il Califfato, sul punto di collassare, già da tempo aveva manifestato l’intenzione di dedicarsi all’apertura del cosiddetto quarto fronte nel Sinai, sia per tentare sortite in Israele sia, soprattutto, per trovare rifugio per Al Baghdadi e soci nella cosiddetta Wilayat Sinai, la provincia del Sinai. Proprio nella penisola i gruppi aderenti all’Isis si sono da tempo distinti per le azioni contro le forze egiziane con i blitz ai check point, il lancio di razzi verso Israele ed il compimento degli attentati contro le chiese copte. Un migliaio circa il numero dei jihadisti disposti sul campo che, avvalendosi della copertura loro fornita dalle tribù beduine, hanno seminato il panico tra le fila dell’esercito di Al Sisi, oltre ad avere abbattuto un aereo passeggeri russo nel 2015 e minacciando continuamente Israele, grazie anche all’interscambio di armi e materiali tramite i tunnel che conducono alla Striscia di Gaza, dove numerosi membri di Hamas hanno da tempo intrapreso la via della collaborazione con il Daesh.
Un panorama sconfortante, a cui vanno aggiunte le minacce, quasi profetiche, di numerosi immigrati in Germania, secondo i quali “i giorni dell’Europa sono contati”.