Una tensione vicina a esplodere, ma il cui picco non sembra mai culminare in un momento di rottura. Il filo su cui stanno camminando Washington e Pyongyang è sospeso sul disastro, ma al momento lo stallo è tale da garantire una grave, ma stabile, situazione. Anche se resta l’elemento del nucleare a rendere i contrasti mai così lontani dall’essere analizzabili.
Il pericolo di una guerra atomica
Una guerra atomica è possibile, anzi può esplodere da un momento all’altro. A sostenerlo è l’alleato cinese, il paese più vicino a Pyongyang da quando Kim Il-Sung dichiarò guerra a Seul, sebbene allo scontro bellico, almeno per ora, abbiano fatto posto schermaglie e minacce.
Una di queste è stata sicuramente rappresentata dalle celebrazioni tenutesi a Pyongyang per il “Giorno del Sole”, data in cui nacque il padre della moderna nazione nordcoreana e nonno dell’attuale presidente a vita. Il primo a incardinare la dinastia dei Kim come la sola a governare il Paese, dagli anni del conflitto col sud della penisola.
Lo scorso 15 aprile migliaia di donne e uomini in divisa hanno reso omaggio al padre della nazione, sotto lo sguardo orgoglioso dell’attuale leader di Pyongyang. E il rito collettivo, impregnato di militarismo e nazionalismo dalle tinte non più così consuete nel palcoscenico della politica internazionale, si è celebrato non senza che Kim Jong-Un desse sfoggio di un’estetica guerriera che ha interrogato molti analisti.
Oltre a una coreografia perfetta non sono mancati i veri protagonisti della parata: i missili, o i presunti tali vista l’impossibilità da parte dei nordcoreani, a detta di alcuni esperti, nella produzione di ordigni così complessi.
Avrebbe fatto discutere infatti i due canister (involucri in gergo militare) di dimensioni mai viste in precedenza. La loro funzione, quella di contenere dei missili balistici Topol di portata intercontinentale, è stata oggetto di dibattito.
Tuttavia sembra difficile che questi armamenti prodotti dalla tecnologia russa potessero essere realmente dentro gli involucri apparsi durante la parata. Perché non mostrarli fuori dai contenitori? E come mai non se ne era mai venuti a conoscenza prima? Dietro a queste domande sorge quindi il dubbio che i due canister in passerella a Pyngyang fossero addirittura vuoti. Ma, essendo la Corea del Nord impermeabile all’occhio occidentale, bisogna restare nell’infinito mare di dubbi e ipotesi.
Quello che invece è apparso chiaro, dalla sfilata delle forze armate nella capitale, è che se gli Stati Uniti non corrono alcun pericolo diretto per mano dell’arsenale nordcoreano, Seul e Tokyo hanno molto di cui preoccuparsi.
Pur non essendo all’avanguardia, i pezzi d’artiglieria che l’esercito può sfoggiare sarebbero in grado di colpire la capitale sudcoreana e l’isola di Guam, territorio giapponese che ospita una grande base americana. Infatti le armi a corto raggio, consistenti nelle imitazioni degli Scud russi, e i missili balistici Musudan, capaci di coprire una distanza di 3mila chilometri, non sono una buona notizia per le difese degli alleati Usa nell’area.
Il rischio per Washington, paventato dagli analisti che hanno assistito alla lunga sfilata delle armi nordcoreane, risiede invece in un’altra arma di produzione nordcoreana. Kim Jong-Un infatti può contare su un altro missile intercontinentale di grandi dimensioni capace di viaggiare per oltre 2mila chilometri e quindi di contenere una testata nucleare. È il KN 11, trasportabile nei sottomarini. La possibilità che un’arma del genere si avvicini alla costa ovest degli Usa non è quindi infondata, anche se assai difficile.
In ultimo c’è da menzionare un elemento, probabilmente il più degno di nota in ambito militare. A differenza di altri teatri di guerra, dove l’esercito ha un livello di preparazione molto scarso, l’armata di Kim Jong-Un può vantare oltre un milione di soldati, 180mila di questi sono forze speciali. Ultimo di un elenco di motivi che renderebbe il conflitto nell’area molto duro e parecchio gravoso per la popolazione civile.
D’altronde lo scontro con Kim Jong-Un è inevitabile. E questo pare saperlo anche la Cina, che prova a invitare a più miti consigli la Casa Bianca. La visita di Xi a Mar-a-Lago ha fatto cambiare i rapporti fra Pechino e Washington. Entrambi gli attori della contesa sanno che prima di poter rimettere all’ordine del giorno le questioni commerciali, ci sarà da risolvere la questione Kim.
Il presidente cinese, al pari di Donald Trump, ha varie opzioni sul tavolo. La perdurante minaccia nordcoreana nell’area potrebbe indurre Giappone e Corea del Sud a dotarsi di armamenti in grado di contrastare un eventuale attacco di Pyongyang. Uno sviluppo, quest’ultimo, non particolarmente gradito a Pechino, nel club dell’atomica da molto tempo e gelosa di un deterrente che le ha permesso finora di crescere economicamente indisturbata nell’area.
Il peso di Pyongyang
D’altra parte però Pyongyang ha ancora il suo peso. Il Paese, che si regge sugli aiuti cinesi (benzina su tutti), non ha un’economia solida, anzi. Le sacche di povertà, per non parlare dello scarso livello dei diritti civili ne fanno un luogo dove il tempo sembra essersi fermato all’anno zero della Repubblica Nordcoreana: la pace, e il relativo isolamento dalla comunità internazionale, firmata con gli odiati vicini del Sud nel 1953, ha segnato l’anno zero di Pyongyang. E Pechino non vuole un secondo anno zero, dove una sconfitta nordcoreana significherebbe presumibilmente la fine della divisione fra le due Coree. Un elemento destabilizzante per l’intera economia della zona. Basti pensare a cosa portò l’unificazione delle due Germanie separate dal muro fino alla fine degli anni Ottanta e a che ritmi economici viaggi ancora la locomotiva tedesca.
A Washington conoscono molto bene lo scenario e Trump sta interpretando la parte del poliziotto cattivo per spaventare Kim. Ma è da Pechino che verrà la mossa decisiva. La Casa Bianca ha infatti parlato di “leve economiche” della Cina nei confronti di Pyongyang in uno scenario che non sembra affatto cambiato dalla Guerra di Corea, la cui prosecuzione, e chiusura, potrebbe verificarsi in caso di fallimento della strategia americana.
L’alto livello di tensione infatti è il solo modo che la dinastia dei Kim ha conosciuto negli anni per sopravvivere. I complotti interni, gli omicidi mirati della famiglia al potere e le stranezze del leader nordcoreano appaiono ferme in un universo molto lontano da quello moderno.
Il tempo sembra essersi cristallizzato a Pyongyang. E la belva ferita, già sconfitta dalla storia, potrebbe rivelarsi molto difficile da domare.
Perché anche Pyongyang giocherà di sponda con Pechino, facendo valere la sua storica alleanza in virtù dell’antico rancore con il mostro capitalista. Sarà quindi l’alleato cinese decisivo, come negli anni cinquanta, nel destino dei nordcoreani.
Un braccio di ferro che dura dal 1950, anno in cui Pyongyang, spalleggiata dall’esercito di Mao Tze Tung, avanzò oltre il 38esimo parallelo per cancellare la presenza sudcoreana dalla penisola. Ora come allora, il vulnus resta lo stesso. La dinastia dei Kim, che ora come allora fa risuonare il grido di guerra urlando agli amici dell’occidente la sua incrollabile convinzione nel modello ultra-statalista, è un calco preciso del gelido clima vissuto da Yalta alla caduta del Muro nel 1989.
@Lenrico1