“Sono convinto che dobbiamo cambiare la nostra mentalità, la nostra sensibilità nei confronti della questione sicurezza, che è un problema centrale se si vuole perseguire uno sviluppo sostenibile”. E’ quanto dichiara a Ofcs.report Paolo Clemente, ingegnere strutturista e dirigente di ricerca dell’Enea, l’Agenzia nazionale per le nuove tecnologie, l’energia e lo sviluppo economico sostenibile.
Qual è il reale stato degli immobili sul nostro territorio? Quanti sono a rischio e per quali cause?
“Nell’ambito dell’indagine conoscitiva sulla sicurezza sismica in Italia, promossa dalla Commissione Ambiente e Territorio della Camera dei Deputati nel 2012, l’Enea ha presentato i risultati di un proprio studio, secondo i quali circa il 70% del costruito non rispetta le attuali norme sismiche. Senza scendere in dettagli, basti ricordare che fino al 1981 soltanto il 25% del territorio nazionale era classificato sismico e che gran parte, oltre il 60% degli edifici oggi esistenti, era già stata costruita.
Va aggiunto che anche laddove le norme prevedevano di tener conto dell’azione sismica, non sempre si è costruito bene, soprattutto nei periodi di maggiore attività che hanno seguito eventi eccezionali, quali guerre ed eventi sismici quando, al crescere della domanda, tutti s’improvvisavano ingegneri strutturisti o mettevano su imprese. Pertanto, molte costruzioni sono state edificate in fretta e senza adeguati controlli, con risultati scadenti. Infine, interventi impropri, sommati alla mancanza di un’adeguata manutenzione, hanno determinato il degrado di molte strutture o, addirittura, crolli clamorosi. In alcuni casi, come quelli verificatisi a Roma, i terremoti non hanno colpe”.
Come si può rimediare ai cattivi interventi effettuati su gran parte del nostro suolo territoriale?
“Non è facile. Uno degli errori più gravi degli anni ’70 e ’80 è stato quello di aver preteso di applicare alle strutture esistenti gli stessi concetti e le stesse tecniche sviluppati per le nuove costruzioni. Ciò è avvenuto soprattutto per gli edifici in muratura, nei quali si sono spesso eseguiti interventi che hanno stravolto il funzionamento strutturale originario, come l’inserimento di elementi in cemento armato. Questi in presenza di accelerazioni sismiche impongono, con la loro rigidezza, una ripartizione delle azioni ben diversa da quella preesistente e determinano, con la loro massa, azioni sismiche orizzontali notevoli. Intervenire in questi casi è difficile e comunque non sempre conveniente. Se ci riferiamo alle strutture che non sono di interesse storico, a mio avviso andrebbe sempre presa in considerazione la possibilità di demolirle e ricostruirle: si realizzerebbero strutture rispondenti alle esigenze attuali sia dal punto di vista funzionale che strutturale e che durerebbero certamente più a lungo. Sarebbe un ottimo investimento, senza occupare altro suolo”.
Fare prevenzione è possibile? In che modo?
“E’ possibile. Per le strutture di nuova realizzazione sappiamo come selezionare i siti idonei, sappiamo progettare e realizzare a regola d’arte qualsiasi struttura ricorrendo, ove possibile, a moderne tecnologie che consentono di ottenere un grado di sicurezza non perseguibile con tecniche tradizionali. Ovviamente questo non basta: bisogna controllare che siano rispettate le norme con pene severe e certe per chi sbaglia.
Per le strutture esistenti la situazione è più complessa. Va innanzitutto ricordato che la valutazione della sicurezza degli edifici esistenti residenziali è richiesta soltanto in casi particolari, come quelli di evidente riduzione della capacità resistente o di interventi di adeguamento o di miglioramento o ancora nel caso di interventi che interagiscano con elementi strutturali. Gli interventi sono obbligatori solo in caso di inadeguatezza rispetto alle azioni controllate dall’uomo, ossia carichi permanenti e altre azioni di servizio, ma non sono obbligatori in caso di inadeguatezza rispetto alle azioni ambientali, non controllabili dall’uomo, come quelle sismiche. Per gli edifici strategici (con funzioni di protezione civile) o di particolare rilevanza (quali scuole e ospedali), invece, la valutazione della sicurezza è stata resa obbligatoria sin dal 2003, ma anche per essi, in caso di esito negativo della valutazione, non è obbligatorio intervenire. A decidere sono i proprietari o i gestori, tenendo conto della gravità dell’inadeguatezza e della disponibilità economica: se non si hanno i fondi non si interviene.
Bisogna certamente cambiare rotta: per gli edifici pubblici, specie se strategici o di particolare rilevanza, va messa a punto un’opportuna programmazione anche sulla base della disponibilità di fondi pubblici; per i privati deve essere avviato un processo virtuoso di miglioramento della sicurezza. Già da tempo abbiamo individuato tre punti: l’istituzione dell’anagrafe del costruito, le certificazione dello stato di salute delle strutture, l’istituzione di un’assicurazione obbligatoria a fronte delle calamità naturali. Questo percorso consentirebbe di ottenere un quadro dello stato di salute dei manufatti, di individuare gli eventuali provvedimenti per il miglioramento della sicurezza strutturale, di stabilire l’eventuale necessità di indagini specialistiche e di programmare la manutenzione ordinaria e straordinaria delle strutture nel loro complesso e di ciascuna unità immobiliare, ai fini di una loro ‘gestione sostenibile’.
Con tali obiettivi, Enea, Federproprietà e altri partner hanno messo a punto un disegno di legge per l’istituzione dell’assicurazione obbligatoria a fronte di eventi naturali, presentata in Senato una prima volta nella XVI legislatura (ddl numero 3631/XVI) e una seconda nell’attuale legislatura (ddlnumero 881/XVII), che prevede:
• l’istituzione di un’assicurazione obbligatoria che sollevi lo Stato dalle spese di ricostruzione a seguito di eventi calamitosi ma, soprattutto, stimoli proprietari e assicurazioni a verificare l’effettiva affidabilità delle costruzioni, anche al fine di differenziare i costi di assicurazione tra i vari immobili in funzione del rischio. Anagrafe e certificazione sarebbero, ovviamente, propedeutici all’assicurazione.
• l’istituzione di un fondo per la sicurezza strutturale e l’efficienza energetica, che potrebbe alimentarsi anche con quota parte del premio di assicurazione obbligatorio di cui sopra, che riduca gradualmente i costi di emergenza e ricostruzione.
Apparentemente è una nuova tassa ma è soprattutto un sistema virtuoso per sostituire le imposte esistenti, palesi e non, con le quali attualmente si finanziano le ricostruzioni a seguito di eventi calamitosi. In un modo o nell’altro siamo sempre noi cittadini a pagare. Allora perché non istituire una forma di contribuzione trasparente, onesta, dedicata alle calamità naturali? Una forma di contribuzione controllabile, ben definita nella quantità, nel percorso e nell’utilizzo finale?”.
La legge Finanziaria tramite un decreto del Ministero del Lavori pubblici ha attivato un bonus fiscale fino all’85% in base all’azione di adeguamento posta in essere sugli immobili. Ritiene questa una misura adeguata e in che modo può essere impiegata per garantire interventi di miglioramento e adeguamento degli edifici a rischio crolli?
“E’ senz’altro un passo importante per due motivi: il primo, diretto, è quello di stimolare i cittadini a investire nella sicurezza dei propri immobili. Il secondo, indiretto, è quello di aver finalmente introdotto un criterio di valutazione della sicurezza strutturale. Il passo successivo è che questa classificazione diventi obbligatoria per tutti gli immobili e influenzi pesantemente il valore di mercato degli stessi. Le cifre in gioco dovrebbero indurre tutti a migliorare la sicurezza della propria abitazione. Ad esempio, un edificio di medie dimensioni può essere isolato sismicamente (e, quindi, portato in classe A+) con alcune centinaia di migliaia di euro, ossia qualche decina di migliaia di euro a condomino. Se si sottrae il bonus, restano poche migliaia di euro a unità immobiliare, che sarebbero ampiamente ripagate con l’aumento del valore dell’immobile”.
L’Ordine degli Ingegneri di Roma ha proposto fortemente l’obbligatorietà del fascicolo del fabbricato, documento che annota tutti gli interventi eseguiti su uno stabile fin dalla sua costruzione. E’ d’accordo su questo tipo di istanza?
“Sono d’accordo. Ho già detto che il primo passo per avviare un processo di miglioramento della sicurezza è l’anagrafe del costruito, che almeno in parte coincide col fascicolo del fabbricato e con l’archivio immobiliare definito in una precedente norma UNI. L’anagrafe va costruita per passi successivi. Il primo dovrebbe avere come obiettivo il recupero di tutta la documentazione tecnico-amministrativa esistente per ciascuna costruzione: il progetto originale e tutto ciò che riguarda i lavori di carattere architettonico, strutturale e impiantistico eseguiti successivamente alla costruzione. Per gli edifici degli ultimi decenni dovrebbero essere disponibili il progetto, le relazioni della direzione lavori e il collaudo statico in corso d’opera. Per gli edifici meno recenti sarebbe difficile recuperare questi documenti e in alcuni casi non troveremmo alcuna documentazione. Un’accurata indagine visiva dovrebbe completare il primo passo.
Il secondo passo dovrebbe sanare le lacune riscontrate nel primo: laddove mancano progetto e grafici, andrebbe eseguito un accurato rilievo architettonico, strutturale e impiantistico. In caso di mancanza di dati affidabili sulle proprietà meccaniche dei materiali e sull’efficacia delle connessioni tra gli elementi portanti, questi andrebbero ottenuti attraverso idonee prove sperimentali.
Sulla base dei risultati delle prime due fasi potrebbe essere eseguita, attraverso un’accurata modellazione matematica, la valutazione dello stato di salute di ciascun edificio. In particolare, l’analisi dovrebbe verificare l’idoneità statica dell’edificio, ossia la sua capacità a fronteggiare le azioni statiche di progetto previste per la sua destinazione d’uso, e valutare l’entità delle azioni sismiche relative ai vari stati limite previsti dalle norme tecniche: ad esempio quella che provocherebbe un certo danneggiamento e quella che porterebbe la struttura la collasso. Il risultato di quest’ultima terza fase consentirebbe anche di classificare strutturalmente gli edifici, cosa che oggi è obbligatoria soltanto per usufruire dei bonus fiscali.
Va osservato che un check-up andrebbe eseguito comunque nel caso di edifici di età superiore a un prefissato valore. Al riguardo è interessante l’iniziativa del comune di Milano di rendere obbligatorio un certificato di idoneità statica aggiornato, per gli edifici di oltre cinquanta anni”.
Quali sono secondo lei le migliori procedure per lavorare in sicurezza, riducendo al minimo il rischio causato da crolli derivanti dalla lunga età dell’edificio o da fenomeni naturali come i terremoti?
“Dal punto di vista tecnico lavorare in una struttura non sicura è ovviamente rischioso. Devono essere studiate molto attentamente le modalità esecutive, intese come sequenza delle operazioni da eseguire nelle varie parti della struttura. Ciò comporta un incremento dei costi non indifferente, ma non c’è alternativa. Le stesse opere di puntellamento, tipiche delle costruzioni danneggiate da un sisma, rendono difficoltose le operazioni di recupero elevando significativamente i costi, ma sono indispensabili sia per evitare crolli successivi sia per assicurare chi lavora per il recupero”.
Si configura come necessaria un’opera di intervento e messa in sicurezza degli edifici?
“Il termine “messa in sicurezza” non mi piace: può indurre a credere che sia perseguibile la sicurezza assoluta. Non è così. Non possiamo azzerare il rischio e, quindi, non possiamo ottenere una sicurezza infinita. Però possiamo migliorarla e tendere a una sicurezza sempre maggiore. Questo è certamente necessario. Migliorare la sicurezza significa ridurre i danni in caso di eventi calamitosi, limitare la non operatività delle strutture, favorendo un rapido ritorno alla normalità. In altre parole, significa aumentare la resilienza agli eventi naturali. Non va trascurato che il collasso di un edificio può comportare danni anche a quelli adiacenti e alla viabilità, come sperimentato in più casi a Roma negli ultimi anni, con enormi danni all’economia”.
Le istituzioni, le alte cariche regionali e comunali dovrebbero fare di più?
“Sono convinto che dobbiamo cambiare la nostra mentalità, la nostra sensibilità nei confronti della questione sicurezza, che è un problema centrale se si vuole perseguire uno sviluppo sostenibile. In tale ottica il ruolo di educazione, controllo ed esempio delle istituzioni è fondamentale”.
@veronica_poto