C’eravamo tanto amati. Non si tratta del celebre capolavoro di Ettore Scola, ma del critico rapporto tra Inghilterra ed Europa in merito ai progressi scientifici. Con la consegna della richiesta ufficiale da parte del rappresentante del Regno Unito, invocante l’articolo 50 del trattato di Lisbona, lo scorso 29 marzo è iniziata la trattativa per definire i nuovi rapporti e legami tra Regno Unito e Unione Europea. In questo clima di incertezza, il controllo sul flusso dell’immigrazione verso il Regno Unito e il mantenimento o meno del “mercato unico” non sono l’unica problematica che chiede risposta adeguata.
I rapporti tra scienziati britannici ed europei
In particolare riguardo la ricerca finora finanziata dall’Unione Europea, e il possibile controllo degli arrivi in Regno Unito degli scienziati europei, saranno argomento di aspri confronti. La maggior parte degli scienziati britannici (favorevoli o meno alla Brexit) sono convinti che non vi saranno particolari cambiamenti circa il flusso di nuovi talenti dall’Europa e che un accordo per una “ricerca congiunta” si raggiungerà con benefici comuni. Il governo inglese considera una priorità assoluta il mantenimento di un alto livello nella ricerca scientifica e una stretta collaborazione per la scienza, la ricerca e la tecnologia. Anche se, nonostante la Brexit, una collaborazione con l’Unione Europea implicherà un contributo da parte dell’Inghilterra non solo di tipo scientifico, ma anche economico verso il fondo europeo per la ricerca.
Association agreement
A tal proposito il primo ministro Theresa May fa riferimento ad una “Association agreement” (letteralmente un accordo di associazione) per mantenere vigente gli 80 bilioni di euro dal disponibile fondo di ricerca dell’Unione Europea, Horizon 2020. In questo modo si permette, di fatto, agli scienziati britannici di poter accedere a borse di studio pur lavorando in Europa. Già sedici paesi non europei hanno firmato, per la scienza, un accordo con l’Unione nonostante l’assenza di intese sulla libertà di movimento dei cittadini. Ad oggi vi sono molti progetti non-Europei, come quelli gestiti dalla European Space Agency e dalla European Organization for Nuclear Research cui gli inglesi vorrebbero far riferimento per i negoziati. Sebbene la ricerca e lo sviluppo britannici beneficiano del 3 % provenienti dai finanziamenti dell’Unione Europea, gli inglesi sono certi che avendo 20 delle migliori università al mondo e molti premi Nobel laureati in scienze e medicina ne trarrebbero il massimo vantaggio.
Per i britannici pro Brexit, il controllo sul flusso di accademici e scienziati all’interno del Regno Unito non richiede necessariamente l’apertura delle frontiere europee, come dimostra uno studio del 2012 in cui Paesi con frontiere assai restrittive tra cui Stati Uniti d’America, Canada, Australia, hanno reclutato senza difficoltà un maggior numero di ricercatori stranieri rispetto a Regno Unito, Francia e Germania.
Probabilmente questi flussi “scientifici e accademici” richiederanno un’innovativa soluzione volta a semplificare, per esempio, il rinnovo del visto di ingresso per i ricercatori o la rimozione dalle statiche di studenti stranieri all’estero. Il Regno Unito continuerà a reclutare le più brillanti menti da tutto il mondo, ma siamo certi che dopo la Brexit questa volta l’Europa se li farà sfuggire?