Secondo i risultati di una recente indagine comparativa internazionale Ocse-Pisa, la scuola italiana “vince il confronto” tra i 21 Paesi oggetto della ricerca relativamente al livello di equità dei diversi sistemi educativi: la nostra scuola funziona meglio delle altre, in particolare per quanto riguarda l’inclusione dei ragazzi delle scuole superiori provenienti da famiglie con una condizione socialmente svantaggiata. Immediati i commenti positivi dell’ex premier Renzi e della ministra dell’istruzione Fedeli, e perfino quelli delle opposizioni. Ofcs Report, invece, ne ha parlato con l’esperto di inclusione scolastica Gianluca Rapisarda, direttore scientifico dell’I.Ri.Fo.R. dell’Unione italiana dei ciechi e degli ipovedenti.
Qualche settimana fa, il nostro Paese è stato “premiato” da un’indagine Ocse come miglior Stato “inclusivo” in Europa. Qual è la sua opinione?
“Effettivamente, i recenti “prestigiosi” riconoscimenti tributati al nostro sistema educativo dall’indagine Ocse-Pisa, ma anche l’iniziativa internazionale Zero Project del febbraio dell’anno scorso, che ci premiano per la nostra “avanzata ed esemplare” legislazione “inclusiva”, sembrerebbero suggerirci che tutto è perfetto”.
Invece, mi pare di capire che a lei i conti non tornino?
“Esattamente. Nell’Italia “reale” in cui noi disabili viviamo, le nostre “belle” leggi sono spesso eluse ed ignorate e il processo di inclusione pare invece ancora lontano da realizzare. Tant’è vero che, a proposito dell’inclusione scolastica, gli esperti dell’Onu, incaricati di esaminare il Report italiano sull’attuazione della Convenzione delle Nazioni Unite sui diritti delle persone con disabilità del 2006, hanno sottolineato che “è necessario ancora fare un cambio di paradigma, in modo che le persone con disabilità siano considerate come persone uguali nella società e non un peso o qualcuno che drena risorse del welfare state”. Tutto ciò, anche in riferimento al “lusinghiero” risultato dell’indagine Ocse-Pisa, mi fa sorgere spontanea una “triste” domanda: “Forse gli studenti disabili italiani vivono in un altro Stato?”.
Quanti sono gli alunni con disabilità che frequentano la scuola italiana?
“Circa 235.000, il 40% in più rispetto al 2001. Di questi, il 95,7% è affetto da disabilità intellettiva, l’1,6% da disabilità visiva ed il 2,7% da sordità”.
Quali sono le principali criticità del modello d’inclusione scolastica del nostro Paese?
“L’esperienza di quarant’anni, le testimonianze dirette dei genitori dei nostri ragazzi e le “nostre” ricerche scientifiche evidenziano una serie di lacune dell’attuale modello. La scarsa formazione specifica dei docenti specializzati, l’inadeguata formazione generalizzata di tutto il personale scolastico sulle tematiche relative alla Didattica inclusiva ed alla Pedagogia speciale. Infine, la delega al solo docente di sostegno degli alunni con disabilità”.
A che cosa è dovuta la scarsa preparazione del personale di sostegno italiano sulle tematiche specifiche delle singole disabilità?
“Oggi, i docenti per il sostegno del nostro Paese sono 120.000, uno ogni due alunni con disabilità. Di questi, circa il 40% sono docenti “in deroga”, con incarichi precari e neanche abilitati al sostegno”.
Ciò significa che quasi la metà dei docenti di sostegno italiani non è “specializzata”?
“Proprio così. A causa di “aberranti” cicliche circolari del Miur, che rispondono solo a logiche “corporative” e non ai bisogni educativi dei nostri ragazzi, il Ministero, in questi anni, ha dato la possibilità, in caso di esaurimento delle graduatorie dei docenti specializzati, di coprire i posti sul sostegno a insegnanti non abilitati iscritti nelle “graduatorie di Circolo e di Istituto, o a quelli di “classi di concorso in esubero” o che sono in “assegnazione provvisoria”. Come può facilmente comprendere, ciò non depone a favore della qualità del processo, costringendo circa l’8% (scuola primaria) e il 5% (scuola secondaria) delle famiglie italiane a “ricorrere” all’autorità giudiziaria per ottenere i loro diritti”.
E perché la deriva verso la delega al solo docente di sostegno del processo di inclusione scolastica?
“La pericolosa china del nostro modello di inclusione scolastica verso il perverso meccanismo della “delega” al solo docente di sostegno, considerato ormai erroneamente come l’unica risorsa a disposizione, a prescindere dalle sue competenze specifiche, dell’alunno disabile è dovuta prevalentemente all’inadeguatezza ed insufficienza del “contesto”. In mancanza di altri tipi di sostegno e di servizi alternativi di supporto, pertanto, il Miur ha dato “centralità” solo al docente di sostegno quale garante del processo di inclusione, senza però averne migliorato la qualità”.
Vuole dire che l’equazione più ore di sostegno uguale più qualità dell’inclusione scolastica non funziona affatto, come invece comunemente si tende a credere?
“Proprio così. Ciò viene dimostrato dai dati in nostro possesso che confermano un aumento delle ore medie settimanali del sostegno didattico dalle 15 ore degli anni Novanta dello scorso secolo alle attuali 17,7, più ulteriori 10 ore assegnate dagli Enti Locali agli “assistenti”, senza che ciò abbia cambiato di fatto le cose. Lo stipendio medio di un docente di sostegno si aggira intorno a 1.650 euro. Dunque, conti alla mano, lo Stato italiano spende per il sostegno circa 2 miliardi e mezzo di euro all’anno. Con queste cifre, ci si aspetterebbe francamente molto di più. E la cosa più deludente è che, purtroppo, neppure la neonata Riforma del sostegno muterà tale “circolo vizioso”.