Ain el Hilweh. Un nome che pesa come un macigno nella drammatica storia dei campi profughi palestinesi in Libano. Per il numero di rifugiati, per le condizioni di vivibilità, per i dissidi interni che spesso si registrano tra le fazioni rivali. Gli ultimi scontri sono stati registrati nella giornata di sabato e vedono contrapposti i miliziani di Fatah, il partito laico guidato dal presidente dell’Autorità nazionale palestinese (Anp), Mahmoud Abbas e un insieme di gruppi fondamentalisti islamici presenti nell’area. Le violenze – secondo quanto riferisce l’agenzia di stampa libanese “Nna” – sono scoppiate in seguito al ferimento di due persone, colpite da un tiratore scelto. Uno dei feriti è Bilal Qutayba Tamim, figlio del responsabile della formazione paramilitare Brigata Fatah. Il cecchino appartiene, invece, al gruppo islamista Jund al Sham.
Il casus belli che ha nuovamente incendiato gli animi all’interno del campo profughi situato nella città costiera di Sindone, nel sud del Libano, è stata la decisione di Fatah di ritirarsi dal comitato congiunto per la gestione della sicurezza dell’area. Ancor prima, lo scorso 7 marzo, le fazioni islamiste palestinesi avevano rifiutato di integrarsi nelle forze di sicurezza congiunte cui spetterebbe il compito di gestire la stabilità del luogo. Così, negli ultimi mesi, Ain el Hilweh è divenuto teatro di continui disordini tra fazioni contrapposte. La situazione è degenerata al tal punto da divenire insostenibile. Lo scorso 1 marzo, le agenzie delle Nazioni Unite (Unicef e Unwra) hanno sospeso i servizi scolastici, sanitari e sociali erogati nel territorio.
La questione della sicurezza all’interno del campo di Ain el Hilweh è da sempre al centro dell’attenzione del governo di Beirut, anche in vista dello sfruttamento delle risorse energetiche offshore antistanti le coste meridionali del Paese. Tuttavia, a destare maggiore preoccupazione è l’afflusso continuo di rifugiati provenienti da Damasco, sia per questioni legate alla sicurezza interna sia per l’impatto che la loro presenza può avere sulla stabilità e sull’economia del Paese. A partire dal 2003, infatti, all’interno dei campi palestinesi sono state documentate crescenti infiltrazioni di gruppi integralisti salafiti. Alcuni quartieri sono diventati un rifugio sicuro per i jihadisti dello Stato islamico, altri per gli uomini del Fronte della Conquista del Levante, noto come Fronte al Nusra prima della sua separazione da al Qaeda.
In queste aree, per evitare di creare pericolose tensioni, le forze di sicurezza palestinesi non hanno accesso. Inoltre, in base agli Accordi del Cairo del 1969, ancora oggi in vigore, neppure l’esercito libanese può entrare all’interno dei campi profughi ma si limita a pattugliarne il perimetro e a controllarne gli accessi ufficiali. L’intento è quello di evitare il ripetersi degli scontri del 2007 tra l’esercito libanese e gli islamisti palestinesi nel campo profughi di Nahr al Bared, che provocarono decine di morti e portarono alla conseguente distruzione dell’intera area. Oggi, Ain el Hilweh ospita circa 70mila rifugiati palestinesi cui si aggiungono almeno altri 50mila profughi in fuga dalla guerra civile in Siria.
In aggiunta, un altro elemento di grande tensione, è legato alla costruzione di una cinta muraria attorno al campo di Ain el Hilweh. Ufficialmente dovrebbe servire a impedire che i jihadisti in fuga dalla Siria, e quelli presenti nel Paese, trovino rifugio in quell’area. Le autorità palestinesi e molte organizzazioni umanitarie, invece, ritengono che la costruzione trasformerà Ain al Hilweh in una enorme prigione. In ogni caso nessun partito libanese, finora, si è espresso pubblicamente contro la decisione di innalzare la barriera che resta, dunque, una priorità del governo guidato da Saad Hariri.
Nei prossimi mesi, inoltre, un team composto da circa 600 persone effettuerà il censimento della popolazione palestinese presente in Libano. Il progetto è stato annunciato al termine di un incontro che si è svolto lo scorso 3 febbraio al Palazzo del Governo, il Grand Serail, tra il presidente del Comitato del dialogo libano-palestinese, Hassan Mneimné, ed il premier libanese. La riunione rappresenta l’ultimo passo di un processo avviato a novembre del 2016. In quell’occasione, funzionari libanesi e palestinesi firmarono un memorandum d’intesa per la realizzazione di un censimento della popolazione palestinese che vive nel “Paese dei cedri” senza aver mai ottenuto la cittadinanza.
Ad occuparsi della raccolta dei dati saranno l’Ufficio centrale di statistica palestinese e l’Amministrazione centrale per le statistiche di Beirut. I funzionari dovranno recarsi nei 12 campi palestinesi ufficiali presenti in territorio libanese e nei 121 insediamenti informali. Il primo nucleo di profughi palestinesi è giunto in Libano nel 1948, anno in cui risale anche l’unico censimento mai effettuato. Oggi, presso l’ONU, ne sono registrati circa 450mila. Le cifre reali e presunte dei rifugiati palestinesi che vivono in Libano sono state spesso al centro del dibattito politico del Paese e rappresentano uno dei dossier principali che il nuovo esecutivo di Hariri intende affrontare.