Combattente per la libertà del suo popolo, mediatore politico e trasformista. Martin McGuinness, spentosi all’età di 66 anni a Belfast, è stato tutto questo. Da alfiere della crociata nordirlandese contro la Corona inglese a fautore del processo di pace con Londra, McGuinness ha incarnato le due anime della lotta indipendentista durata oltre vent’anni e arrivata al culmine dopo la strage di Derry, o Londonderry per gli unionisti, il 30 gennaio del 1972. Parlamentare a Westminster, ma prima ai vertici dell’Irish Republican Army: la figura dell’ex combattente per l’autonomia dell’Irlanda del Nord si tinge di grigio per i suoi compatrioti. Qualcuno lo vede come un traditore, venuto a più miti consigli e vendutosi alla Regina. Qualcun altro lo apprezza per le sue doti di mediatore negli anni più duri del conflitto.
Bloody Sunday
Martin McGuiness nasce a Derry, nel 1950. Una città, quella natale, crocevia del destino del popolo nordirlandese e del conflitto con gli allora odiatissimi inglesi. Ad appena vent’anni è già ai piani alti dell’Ira. Solo qualche anno dopo, proprio nelle vie che avevano dato i natali all’allora giovane simpatizzante della lotta armata, si consuma uno degli atti più disonorevoli per l’esercito inglese, come nel 2010 ha ammesso lo stesso ex primo ministro britannico David Cameron. Quella fredda e umida domenica del gennaio del 1972 passerà alla storia come la “Bloody Sunday”, immortalata anche in un celebre brano degli U2, un giovane quartetto di musicisti di Dublino arrivato al successo proprio sulle ceneri di Derry. La lunga giornata dei cittadini nordirlandesi era cominciata come una manifestazione pacifica. Sono anni di contestazione e la protesta si fa più calda. Londra, per controllare la popolazione, manda il Primo Battaglione del Reggimento dei Paracadutisti. Ma i militari non riescono a controllare la folla e sparano, uccidendo 13 giovani manifestanti. Il quattordicesimo, ferito gravemente, morirà la notte seguente al massacro.
È una delle più grandi vittorie dell’Ira, almeno dal punto di vista del consenso
McGuinness viene arrestato pochi mesi dopo l’episodio per possesso di esplosivi e in tribunale, davanti alla giuria, pronuncia delle frasi difficilmente equivocabili sulla sua appartenenza ai separatisti nordirlandesi. “Abbiamo combattuto contro l’uccisione del nostro popolo, sono un membro dell’Ira e – aggiunge McGunness – ne sono molto, molto orgoglioso”. Seppur avendo passato una parte del tempo in carcere in seguito a processi sempre legati all’attività di lotta armata, McGuinness fra il 1978 e il 1982 riesce a completare la scalata politica, diventando in questo periodo un membro importante dello Sin Feinn, il partito repubblicano di ispirazione cattolica. La carriera politica nel partito è presumibilmente da attribuire alla vicinanza di questo con il movimento che ispirava la lotta armata.
La scalata di McGuinness
La scalata di McGuinness prosegue e nel 1997 viene eletto per rappresentare la bandiera nordirlandese a Westminster. Ma a Londra l’ex Ira non ci andrà mai, in osservanza dell’astensione che i nordirlandesi mantengono nei confronti delle istituzioni riconosciute dal trattato Anglo-Irlandese del 1921, un patto odiato dai figli di Belfast. Il lavorio diplomatico con Downing Street, però, porta i suoi frutti. Nel 1998, il giorno del venerdì Santo, viene firmato a Belfast il trattato con la madrepatria inglese, che sancisce la tregua e la fine della fase sanguinosa del conflitto armato fra Belfast e Londra. In patria McGuiness prosegue il cursus honorum fino alla carica di vice-ministro nel governo guidato da Ian Paisley e formato dalla coalizione con lo Sin Feinn, nel frattempo cresciuto in termini di consensi, e il partito di maggioranza repubblicano.
Amato e odiato in patria, McGuinness si è spento a Belfast in seguito a una lunga malattia. Il 10 aprile una delle sue creature politiche, il trattato di Belfast, compirà 19 anni.