Come può un insegnante di sostegno aiutare uno studente cieco se non conosce il braille o le metodologie didattiche adeguate a questo tipo di disabilità? Una domanda che potrebbe apparire priva di senso ma che in Italia, invece, è utile per comprendere le tante storture del sistema scolastico, specialmente quando si tratta di disabilità. A denunciarlo, in un’intervista ad Ofcs.report, è Gianluca Rapisarda, direttore scientifico dell’Istituto Nazionale di Ricerca, Formazione e Riabilitazione per la disabilità visiva (I.Ri.Fo.R.) dell’Unione italiana dei ciechi e degli ipovedenti.
Quali sono le principali novità introdotte dalle commissioni parlamentari al testo originale?
“Innanzitutto si rimette al centro la famiglia che partecipa a tutte le fasi: dalla formulazione del profilo di funzionamento dell’alunno (che sostituisce la valutazione diagnostica funzionale, come chiesto dalle associazioni, ndr), alla quantificazione delle risorse da assegnare. Su richiesta delle famiglie, poi, il Piano educativo individualizzato (Pei) entra a far parte del profilo di funzionamento”.
Ma alcuni di voi hanno parlato di poca chiarezza nell’organo che dovrebbe assegnare il sostegno didattico. Per quale motivo?
“Si è fatta un pò di confusione poiché nel PEI non sembrano esserci cenni al sostegno didattico, mentre i sostegni, incluso quello didattico, sembrano dover essere contenuti nel profilo di funzionamento: quindi a determinare e quantificare le ore di sostegno sarà, a quanto sembra, l’unità di valutazione multidisciplinare, oggi arricchita di componenti rispetto all’inizio, ma comunque non composta dalle persone che effettivamente conoscono il ragazzo e con un assetto prevalentemente medico”.
Un’altra carenza da voi denunciata riguardava la valutazione dell’inclusione scolastica. Le Commissioni hanno proceduto a modifiche sostanziali?
“Una delle novità del testo iniziale del decreto era il fatto che la valutazione dell’inclusione scolastica fosse parte integrante della valutazione della scuola, tramite indicatori che l’Invalsi andrà a definire: ora, grazie all’intervento delle principali Associazioni di disabili, alla stesura di questi indicatori parteciperà anche l’Osservatorio per l’inclusione scolastica istituito presso il Miur”.
Una criticità l’avete rilevata pure in merito alla formazione iniziale specifica dei docenti specializzati. Ci può spiegare perché?
“Su questa parte del decreto ritengo che il Miur debba necessariamente intervenire. Basti pensare che la formazione generalizzata di tutto il personale scolastico sulle singole disabilità, stabilita dal decreto numero 378 non prevede alcun obbligo di osservarla. Attualmente risulta insufficiente la preparazione e la formazione specifica sulla minorazione visiva da parte degli insegnanti specializzati e degli assistenti alla comunicazione. Secondo un’indagine dell’Irifor, ad esempio, è emerso che meno del 50% degli operatori scolastici conosce il Braille, che il 77,7% di loro non possiede competenze tiflodidattiche e tiflopedagogiche e che soltanto il 41,5% dei docenti per il sostegno e degli assistenti ha avuto esperienze pregresse con alunni non vedenti e ipovedenti. Non solo. Nella crescente delega al solo docente specializzato degli studenti con disabilità visiva, appena uno su quattro degli alunni minorati della vista svolge la lezione prevalentemente in classe, mentre più del 13% di essi sono emarginati e ghettizzati nella cosiddetta aula di sostegno”.
Che ne pensa del mantenimento a 20 alunni delle classi con disabili?
“Valuto molto positivamente tale disposizione dello schema di decreto esitato dalle Commissioni Affari sociali e Cultura della Camera e Istruzione e Beni Culturali del Senato, perché recepisce quanto previsto dagli articoli 4 e 5 del D.P.R. numero 81 del 2009, contrastando il proliferare delle classi “pollaio” tanto deleterie per gli alunni con disabilità. Però resta il fatto che il Decreto non stabilisce l’inderogabilità del numero di 20 alunni per classe in presenza di disabili, prevedendo che ciò avvenga soltanto di norma”.
La continuità era un tema importante per le famiglie e per le associazioni vicine al mondo della disabilità. Qual è la sua opinione?
“Sulla continuità didattica, qualche ombra rimane, e cioè che il neonato Decreto non prevede nulla per contrastare il fatto che più del 40% degli attuali docenti per il sostegno sono supplenti e hanno incarichi precari “in deroga”. Per ovviare bisognerebbe rivedere i criteri degli organici dei docenti specializzati, che dovrebbero poter transitare dal presente organico di fatto a quello di diritto delle scuole e prevedere un serio e strutturale piano di assunzione attraverso appositi concorsi”.
Lei ha criticato la delega sull’inclusione della Buona Scuola, perché ancora “viziata” e inficiata dall’ormai superata dimensione “integrativa”. Non è vero?
“Lo schema di Decreto del Governo sull’inclusione scolastica è da ritenersi “vecchio” dal punto di vista culturale e pedagogico, in quanto non fa esplicito riferimento all’art 24 della Convenzione ONU del 2006 sui diritti delle persone con disabilità e considera ancora la Didattica inclusiva una prerogativa soltanto degli alunni/studenti con disabilità e non come una preziosa risorsa al servizio dei bisogni educativi di tutti”.
@PiccininDaniele