Sono lontani i giorni gloriosi del Califfato. Le truppe di Al Baghdadi potrebbero anche, difficilmente, convertire le sorti del conflitto, ma ora giocano una partita decisamente difensiva. Ma la gestione di queste fasi del conflitto ora vanno ben ponderate, infatti due interventi dal cielo, presumibilmente dalla mano occidentale, rischiano di minare l’appoggio all’avanzata della coalizione anti-Isis.
Su entrambi i fronti, quello iracheno a Mosul e quello siriano a Raqqa, gli jihadisti sono costretti a subire un martellamento da parte delle forze lealiste, appoggiate dalla coalizione.
Sul fronte siriano si avvicina il giorno del giudizio: le forze democratiche sono arrivate a meno di 60 chilometri dalla roccaforte dello Stato Islamico. Il luogo della linea d’avanzamento si sarebbe stabilito sulla diga di Tabqua, costruita nel 1973 e ora danneggiata da un raid alleato. Un bombardamento dal target poco preciso o una trovata della propaganda islamista? Non è dato saperlo, ma lo Stato Islamico non avrebbe tardato a sfruttare la situazione a proprio vantaggio, nascondendosi all’interno dell’invaso. Secondo alcune fonti locali, è in quelle gallerie e in quei cunicoli che il Califfato starebbe organizzando la difesa della città siriana. Lì ci sarebbe anche il leader degli estremisti islamici: Al Baghdadi.
Le forze che starebbero circondando la città sanno che la struttura di Tabqua non va ulteriormente danneggiata. Si tratta di un invaso troppo importante strategicamente per l’area e un incidente con il coinvolgimento della diga minerebbe l’incolumità di migliaia di civili della zona. Un rischio già paventato dagli jihadisti che hanno avvertito la popolazione invitandola ad evacuare la zona per il pericolo inondazione e accusando gli Usa di aver messo in pericolo la popolazione.
In realtà la diga di Tabqa è stata alterata nel suo funzionamento già dal 2014, quando l’Isis ne prese possesso. Gli jihadisti infatti, non sapendo regolare l’impianto e non facendo alcuna opera di manutenzione, avrebbero manomesso il meccanismo di depurazione. Le conseguenze dell’incuria sarebbero state già provate dalla popolazione civile, colpita da malattie ed epidemie.
Una sorte diversa è toccata invece alla diga di Mosul, la cui manutenzione è affidata all’impresa italiana “Trevi”, ma si parla di un bacino dall’importanza e dalla capienza di gran lunga più grande.
Ed è proprio nella città irachena che lo scontro fra le forze lealiste e gli uomini neri del Califfato deciderà le sorti della guerra. La battaglia per Mosul va avanti da tempo e la vittoria sembra stia lentamente, ma con pochi dubbi ormai, transitando dalle parti delle forze controllate da Baghdad. Si combatte a ranghi serrati nella zona occidentale della città, nella parte storica di Mosul, città dalla quale partì il sogno scellerato di Al Baghdadi nel 2014, diventato una realtà da incubo per l’Occidente.
Sebbene la vittoria militare sia decisamente nelle mani delle forze irachene, anche a Mosul l’arma della propaganda resta quella più velenosa per colpire il nemico aiutato dall’occidente. Il 17 marzo scorso un bombardamento dell’aviazione alleata sulla zona ovest della città avrebbe prodotto 61 morti civili, stando al resoconto dell’esercito iracheno. Alcuni testimoni parlerebbero invece di 200 vittime.
Il Pentagono avrebbe confermato di aver seguito obiettivi jihadisti, presumibilmente mescolatisi con la popolazione civile, e di aver bombardato in quel punto. Intanto a Washington è stata aperta un’inchiesta. Se dovesse essere confermata la versione che circola a Mosul, il numero di caduti rappresenterebbe la quota più alta di morti tra la popolazione civile dal 2003.
Non sarebbe tra l’altro la prima volta che a fare le spese del conflitto fossero gli iracheni, già più volte lamentatisi per l’approccio troppo disinvolto nei bombardamenti aerei. Sebbene gli iracheni stessi pensino a una trappola esplosiva del Califfato che avrebbe colpito i civili, la versione dell’errore umano a Washington sarebbe quella più accreditata. Intanto per estrarre quei corpi innocenti si sono fermati gli scontri armati.
I numeri dell’offensiva di Mosul, in atto ormai da gennaio scorso, sono spaventosi. Basti pensare che sono 180mila gli sfollati e oltre 700 i caduti civili durante le ostilità. Una guerra lunga e logorante, quella contro lo Stato Islamica, che sebbene veda il successo dietro l’angolo sta mettendo a dura prova gli eserciti lealisti. Anche se le armate nere sembrerebbero ormai al collasso, continuano a reggere con le armi della propaganda. Il vero asso nella manica di Al Baghdadi.