Quello che sta accadendo tra Turchia e Paesi Bassi da cinque giorni a questa parte mette alla prova qualsiasi precedente in fatto di litigi tra alleati Nato. I toni non sono sicuramente dei più leggeri: se da una parte (quella olandese) si sventola la scusa dell’ordine pubblico per non tirare in ballo le ingerenze nelle reciproche politiche nazionali, ad Ankara il presidente Erdoğan non si fa troppi scrupoli a definire “marci” e “nazisti” gli abitanti del Paese dei tulipani. La pietra dello scandalo? Aver ritirato (dapprima più diplomaticamente, dichiarando l’evento “indesiderabile”, poi ufficialmente) l’autorizzazione al Ministro degli Esteri turco Mevlüt Çavuşoğlu a tenere un comizio elettorale presso la città di Rotterdam, sede di una vasta comunità turca nel Paese, a sostegno del Sì al referendum che si terrà in Turchia il 16 aprile.
Da qui, un litigio tra due Paesi che si sarebbe potuto risolvere probabilmente con un (seppur sofferto) scambio di scuse o lasciando semplicemente cadere la vicenda, considerando anche il fatto che altri Paesi si sono comportati in maniera analoga con gli emissari referendari turchi (ad esempio Danimarca, Svizzera ed Austria), si è trasformato in un vero e proprio pandemonio diplomatico.
La risposta del governo di Ankara infatti non si è fatta attendere, e non si è limitata alla colorita dialettica. Le misure sono andate ben oltre gli insulti, includendo il blocco dell’ambasciata e del consolato olandese in Turchia, e il divieto di rientro dall’estero dell’ambasciatore dei Paesi Bassi, in quel momento assente.
La situazione è ulteriormente peggiorata quando a Rotterdam la polizia ha represso violentemente una manifestazione pro-turca nei pressi dell’ambasciata turca, e la Turchia ha annunciato l’intenzione di ricorrere alle vie legali, citando in giudizio i Paesi Bassi per aver violato la Convenzione di Vienna del 1961, riguardante le relazioni diplomatiche tra Paesi. Come se non bastasse, il governo di Amsterdam lunedì sera si è rifiutato di estradare in Turchia diversi membri del partito filo-curdo Pkk, insieme ad altri sospetti terroristi di estrema sinistra di origine turca. Erdoğan ha risposto accusando gli olandesi di avere “un’indole senza morale”, evocando il bruttissimo ricordo della colpevole debolezza che ebbero le truppe Onu olandesi nel difendere gli 8.000 bosniaci musulmani durante il massacro di Srebrenica.
Ma come si è arrivati fino a questo punto? “Sinceramente non capisco molto quello che sta accadendo in questa vicenda sul lato europeo” commenta Gianpaolo Scarante, ambasciatore italiano ad Ankara fino al 2015. “Rischiamo di fare, agli occhi dei turchi, proprio quello che noi accusiamo loro di non fare: non garantire la libertà di espressione, e non garantire la pluralità del discorso politico – continua – Di cosa abbiamo paura? Vietare, impedire è un segno di debolezza. I turchi, sotto la guida di un presidente che si fa bandiera di un nazionalismo mai troppo sopito, si rafforzano in questo: il “noi contro di voi”, il percepire l’Islam come discriminato, come qualcosa che fa paura all’Occidente. Fermo restando che il referendum è un qualcosa sicuramente definibile come antidemocratico, come tutte le riforme che stanno rendendo la Turchia un regime sempre più autocratico da diversi anni a questa parte, non capisco perché dovremmo avere paura di parlarne”.
Molti analisti affermano che la mossa del Primo Ministro olandese uscente Mark Rutte, quella di vietare il comizio del ministro turco, sia stata in realtà una risposta alle posizioni sempre più popolari del leader di estrema destra Geert Wilders, dimostratosi sin dal principio fermamente contrario a qualsiasi discorso pubblico di un diplomatico estero sul suolo nazionale. Una dimostrazione, insieme a divieti mascherati da inviti a rimandare i comizi nelle proprie città provenienti dagli altri Paesi europei a forte presenza turca, del fatto che i populismi di destra sono in grado di influenzare l’indirizzo politico dei propri governi pur senza effettivamente essere parte dei rispettivi esecutivi. “Erdoğan e i populismi europei di destra stanno in qualche modo imponendo l’agenda politica dei governi, e questo è un fatto sicuramente molto interessante – continua Scarante – Questo atteggiamento della Turchia ha ragioni storiche molto specifiche. Essa sta infatti recuperando dei valori, fortissimamente nazionalisti, che aveva perso (ma mai dimenticato del tutto) con il regime di chiusura e laicizzazione forzata di Atatürk, circa 90 anni fa. Ora tutto questo è tornato a galla, ed è più forte che mai, corroborato dalla logica dello scontro e dall’unione, in quanto musulmani, contro il resto del mondo, che dal loro punto di vista è contro di loro. Il vittimismo, il sentirsi discriminati, l’invocazione dei complotti sono parte di una tipica “sindrome” dei turchi”.
Ma per un litigio bisogna essere sempre in due. L’Europa tutta, da questa crisi, dovrebbe sicuramente uscirne più preoccupata per il suo prossimo futuro. “Ho l’impressione che questi toni accesi da parte dell’Europa vengano dal fatto che non si ha più la certezza che il modello seguito sia quello giusto. L’Europa, in altre parole, non sembra più credere molto a se stessa – spiega Scarante – I toni forti sembrano inusuali da parte nostra, ma il punto è che Erdoğan “funziona” benissimo in politica interna con questi toni. L’appello ai turchi all’unità, alla fierezza, all’orgoglio nazionale, funziona sempre. E i turchi rispondono – aggiunge – Penso il referendum passerà. Le ragioni per cui noi condanniamo il referendum sono esattamente quelle per cui, secondo me, il Sì vincerà. Quello che noi vediamo come negativo in Turchia viene visto come positivo. E temo che presto vedremo questo anche da noi in Europa: la sindrome dell’uomo forte al comando e il mantra della democrazia che non funziona più sono dietro l’angolo”.