Il superamento dello stallo diplomatico tra Tel Aviv e Ramallah e la questione degli insediamenti israeliani nei Territori palestinesi. Sono questi i temi caldi al centro della visita che il rappresentante speciale per i negoziati internazionali del presidente degli Stati Uniti, Jason Greenblatt, ha tenuto in Israele. Nella tre giorni di incontri – iniziati lunedì – il funzionario di Washington ha avuto colloqui con il premier israeliano Benjamin Netanyahu e il presidente dell’Autorità nazionale palestinese (Anp) Mahmoud Abbas. Un unico obiettivo: tentare di riannodare i fili di un dialogo tra le parti, fermo ormai da troppo tempo. Del resto, la pace in Medio Oriente passa anche per la discussa politica di espansione delle colonie israeliane in Cisgiordania su cui lo stesso Trump, nell’incontro con Netanyahu alla Casa Bianca, aveva chiesto “cautela”.
“Washington e Tel Aviv devono lavorare insieme per raggiungere una posizione comune sugli insediamenti”, ha dichiarato Greenblatt a margine dell’incontro con il primo ministro dello Stato ebraico. “Mi auguro – ha continuato – che insieme riusciremo a realizzare buone cose”. E lo stesso desiderio è stato espresso da Netanyahu. Greenblatt ha detto più volte di essere favorevole alla soluzione dei due Stati, precisando però che questa opzione deve essere raggiunta attraverso un negoziato tra le parti, e non imposta dall’Onu o da altri interlocutori esterni. Per il funzionario di Washington, tuttavia, “gli insediamenti non sono un ostacolo alla pace”. La filosofia è una sola: “Nel business e nella vita – si legge nel suo primo comunicato stampa – mettere insieme le persone e lavorare per unirle invece che per dividerle è il percorso più solido verso il successo”.
La visita di Greenblatt in Israele giunge pochi giorni dopo la telefonata di Trump al presidente palestinese Abbas. Durante il colloquio telefonico tra i due leader, il primo dall’insediamento del presidente degli Stati Uniti alla Casa Bianca, Trump ha invitato ufficialmente Abbas a Washington “per discutere della riapertura dei negoziati al fine di raggiungere una pace duratura tra israeliani e palestinesi”. La notizia è stata accolta dall’entourage del presidente palestinese con “soddisfazione”. Negli ultimi mesi, infatti, diversi funzionari di Ramallah avevano espresso il proprio rammarico per la difficoltà di stabilire un contatto con la nuova amministrazione Usa, che si è insediata lo scorso 20 gennaio.
In aggiunta, il leader degli Stati Uniti, già da tempo, sta considerando la possibilità di indire una conferenza di pace in Medio Oriente per la risoluzione del conflitto israelo-palestinese. “Il presidente – si legge in un comunicato diffuso dalla Casa Bianca – ha sottolineato la sua personale convinzione, secondo cui la pace è possibile e per questo è giunto il momento di fare un accordo”. “Trump – continua la nota – ha sottolineato che l’accordo di pace deve essere negoziato direttamente tra le due parti e che gli Stati Uniti opereranno a stretto contatto con la dirigenza palestinese e israeliana verso questo obiettivo”. Secondo le prime indiscrezioni, la Casa Bianca starebbe verificando la possibilità di tenere la conferenza in Giordania o in Egitto. La speranza è quella di riuscire a coinvolgere anche l’Arabia Saudita.
Intanto, sul fronte interno, il partito del premier Netanyahu, il Likud, perde l’ex ministro della Difesa, Moshe Ya’alon. “Il Likud ha cambiato fisionomia sotto la guida di Benjamin Netanyahu”, ha scritto Ya’alon in una lettera indirizzata alla segreteria della compagine politica. E pur assicurando che resterà “fedele alla strada indicata dai padri del sionismo” l’ex ministro ha fondato una nuova lista che – secondo un primo sondaggio – potrebbe conquistare alle prossime elezioni politiche quattro dei 120 seggi della Knesset, il parlamento di Tel Aviv. La rottura con Netanyahu risale al maggio 2016 quando Ya’alon fu costretto a dimettersi per consentire l’ingresso al ministero della Difesa di Avigdor Lieberman, leader del partito di estrema destra Israel Beitenu (IB). In precedenza Netanyahu e Ya’alon avevano avuto forti dissensi sulla vicenda di Elor Azaria – il militare israeliano poi condannato per omicidio colposo di un assalitore palestinese ferito – e sull’acquisto di tre sottomarini tedeschi, ritenuti da Ya’alon, fin da subito, superflui.
@RosariaSirianni