A volte basta una musica, delle scarpe comode e la voglia di ricominciare. A volte basta un sorriso, una carezza, un passo in più.
La Tangoterapia, l’iniziativa che da tre anni la Fondazione Santa Lucia porta avanti, è giunta alla terza edizione. Un corso aperto alle persone malate di Parkinson, con disabilità lieve o media, che include anche i loro caregivers.
La lunga esperienza nel campo della neurologia e la passione per il ballo, la musica e cultura del tango hanno portato la dottoressa Antonella Peppe a ideare una nuova terapia per le persone malate di Parkinson, una terapia che aiuta ad abbandonarsi e ascoltare il corpo.
Anima, passione, coraggio. Una danza che trasporta il cuore e cura la mente, anche dalle peggiori ferite.
Lo chiamano tango ma in realtà è molto di più. E’ la storia di un gruppo di persone affette dalla malattia di Parkinson, una malattia per la quale non è ancora stata scoperta una cura. Con l’aiuto di due insegnanti tangheri, Daniela Cadamuro e Roberto Ricciuti, i partecipanti al corso di tangoterapia trovano giovamento dai dolori muscolari. Aiutare a coinvolgere il corpo, stimolare le aree sensoriali della mente, riuscire a coordinare i movimenti: sono questi alcuni dei tanti benefici.
“La possibilità di cadere è una tra le prime preoccupazioni nei pazienti parkinsoniani e rappresenta una concreta minaccia per la loro autonomia – spiega la dottoressa Peppe – Attraverso il tango, che è essenzialmente fondato sull’equilibrio tra piede destro e sinistro, possiamo stimolare questa funzione in modo complementare a quanto fatto con la riabilitazione vestibolare”.
Il paziente affetto da una malattia degerativa è mortificato nel corpo, che diviene come estraneo, quasi un nemico. Una riabilitazione sensoriale, infatti, ripristina la fiducia del contatto con sé stesso. Il tango richiede precisione nell’esecuzione dei movimenti e una grande concentrazione mentale. I benefici di quest’arte argentina, per i pazienti parkinsoniani, sono scientificamente documentati. Praticarla, infatti, genera progressi non solo nell’equilibrio ma anche per la mobilità articolare e le strategie di movimento.
“Nella nostra esperienza – continua la dottoressa – abbiamo potuto osservare miglioramenti anche nel tono dell’umore, nelle attitudini relazionali e abbiamo registrato nei pazienti un grado elevato di soddisfazione, accompagnato da un accresciuto benessere psicofisico”.
Molto importante la partecipazione continua, i migliori risultati si raggiungo nei casi di pazienti che frequentano costantemente le lezioni.
Un’iniziativa che apre le porte allo studio neurologico della malattia di Parkison, che aiuta i pazienti a vivere in armonia con il proprio corpo, riscoprendo la voglia di muoversi e ballare.
Foto di Patrizia Tocci