“Ciao Fabo, la tua storia tocca corde dell’anima che preferiremmo lasciare sopite, ci sbatte in faccia interrogativi pesanti e l’istinto ci porta ad immaginare cosa faremmo noi in quella stessa situazione”. Inizia così il testo della lettera pubblicata dal portale www.superando.it che ha come destinatario Dj Fabo, morto pochi giorni fa in Svizzera dove era giunto accompagnato da Marco Cappato per ricorrere all’eutanasia.
Una lettera toccante, che ha certamente il merito di offrire una riflessione diversa rispetto al dibattito politico, grazie al punto di vista di una donna, Stefania Delendati, anche lei disabile dalla nascita, che pur rispettando la scelta di Fabo chiede attenzione e dignità per i tanti disabili che lottano pur di andare avanti.
“Tutti presi da discorsi etici, politici e teologici, non ci passa per la testa quanto dolore dev’esserti costata la decisione di andartene, proprio tu che la vita l’hai amata, eccome, e l’hai cavalcata con il sorriso finché il destino si è messo di traverso”, dice Stefania rivolgendosi a Fabo. Una scelta coraggiosa, quella del Dj, che tante critiche in queste ore ha attirato: “invidio un pò il convincimento di quelli che affermano sì o no con tanta tranquillità, io invece qualche dubbio ce l’ho, e più ci penso, più mi sorgono domande che mi ingarbugliano i pensieri”.
La donna poi ammette che se avesse potuto provare a convincere Fabo a cambiare idea lo avrebbe certamente fatto. “Se ti avessi incontrato alla vigilia della partenza per la Svizzera, avrei provato a farti cambiare idea, ti avrei detto che ci sono persone nelle tue condizioni da più tempo di te che non desiderano la morte, ma riescono a prendere quel poco che ancora di bello regala la vita. Non sarei riuscita a convincerti, lo so, ed è giusto così. Perché ognuno, posto di fronte alla sofferenza estrema e prolungata, reagisce a modo suo e va rispettato”.
Una scelta quindi non condivisa ma che la donna disabile la cui vita, scrive, “non è una passeggiata”, rispetta profondamente. Eppure, continua ancora rivolgendosi a Fabo, “rendendo pubblica la tua volontà, hai voluto smuovere le coscienze, peccato che nel baccano delle chiacchiere la tua voce flebile si sia un pò persa. La tua storia contiene implicazioni che vanno al di là dell’“affare eutanasia”, non siamo stati capaci di approfondirle, neanche stavolta”.
La riflessione di Stefania è chiara ed è una presa d’atto che in Italia “non sono evidentemente abbastanza forti le storie dei cittadini con disabilità grave che vogliono vivere dignitosamente e lo vogliono fare a casa loro, con un’assistenza personalizzata e adeguata per la quale i fondi statali sono sempre più risicati. Scendono in piazza “armati” di carrozzine e respiratori, ottengono promesse e pietà. La loro richiesta di dignità merita una risposta da parte dello Stato come l’avrebbe meritato il tuo appello alla libertà di decidere”.
Per questo motivo la vicenda di Fabo, come quella di Eluana Englaro nove anni fa, rischia di stravolgere la prospettiva non solo del Testamento Biologico ma di tutta la tematica che ne fa da corollario. “In questi giorni si è discusso solo e soltanto di “dolce morte”, avanti di questo passo rischiamo che l’eutanasia venga vista come un obiettivo da perseguire prima di altri. Prima dell’inclusione, prima dell’assistenza sanitaria e sociale, prima della ricerca che può migliorare la qualità della vita”, denuncia Stefania.
“Uno Stato moderno, un Paese migliore è quello che difende la vita dei suoi cittadini più deboli e, nello stesso tempo, rispetta le scelte personali di chi, tormentato da un dolore che uccide la voglia di lottare, decide di volare via dal proprio corpo. Lo decide per sé, perché lo ritiene giusto per la sua persona, non ha la “presunzione” di credere che sia la soluzione ideale per tutti, perché il mondo è fatto di sfumature”.
Ecco perché “l’urgenza non si chiama Fabo, Eluana, Piergiorgio” ma la necessità di una normativa “porta anche il nome di quei cittadini che rimangono anonimi e si recano nel Paese elvetico, pagando per non soffrire più”. Un’emergenza sociale, una richiesta “di segno opposto ma non meno importante, ha il nome delle persone con gravissime disabilità che vogliono fortissimamente vivere e fanno fatica a tirare avanti”.
La dignità dell’uomo si lega anche alla libertà di scelta, libertà di vivere con la malattia e libertà di morire quando la sofferenza non è più umanamente sopportabile, è la tesi di Stefania Delendati. “Nel mezzo rimangono la rabbia e il dolore per chi rimane aggrappato alla vita tra mille difficoltà, a volte imputabili più alla burocrazia che alla malattia. Nel mezzo rimane la malinconia per te che hai mollato la presa. Un giovane uomo che si congeda dal mondo come hai fatto tu è sempre una sconfitta, da qualunque prospettiva si analizzi la questione”.
@PiccininDaniele