Lo spauracchio di ogni genitore è l’adolescenza dei figli. Eppure è un periodo affascinante, di costruzione della personalità e di crescita, come suggerisce l’etimo della parola (adolescere=crescere). La nostra società, invece, come scrive la psicologa francese Jeanne Siaud-Facchin nel suo libro ‘Troppo intelligenti per essere felici’, ha “trasformato l’adolescenza in qualcosa di ben definito, retto da norme specifiche e regolato da un funzionamento omogeneo”. Dobbiamo ricordarci che ogni ragazzo è un mondo a sé e partecipare a quel processo che li trasformerà in uomini e donne è per noi genitori un privilegio, che non possiamo permetterci di inquinare con i nostri errori di comunicazione.
Ecco i più comuni:
- Tutti sbagliamo. I ragazzi hanno dalla loro due fattori: 1) il loro cervello è in formazione; 2) non hanno esperienza. Noi adulti, invece, sbagliamo e basta. Quindi, di fronte a un errore di un figlio, sarà bene mettersi a tavolino e discutere, senza giudicare, ma per capire perché ha agito in quel modo, per aiutarlo a comprendere il disvalore della propria azione e a trovare una soluzione laddove sia possibile, per trasformare la circostanza in esperienza.
- Dare per scontato che, siccome hanno fatto qualcosa diversamente da come ci saremmo aspettati, non sia fatta bene. Come quando usiamo il telefonino: ci sono sempre tre/quattro modi diversi per ottenere uno stesso risultato e quello che scegliamo noi non è mai il loro. I ragazzi hanno percorsi mentali differenti. E’ così anche nella vita. A volte hanno una prospettiva più ristretta, perché non hanno esperienza, a volte portano nuova energia e idee nuove. Confrontiamoci.
- Voler avere ragione. Non è una lotta di potere. Non vince chi ha ragione, ma si vince solo quando si riesce a comunicare. Per questo si può anche essere nel giusto, ma se sbagliamo a dirlo o feriamo nostro figlio o non ci siamo fatti ascoltare, dobbiamo prenderne atto e cercare di migliorare.
- Neanche fossimo francesi, noi adulti con i ragazzi facciamo un abbondante uso del voi, anche quando ci riferiamo a una singola persona. Se si è insegnanti, il voi è rivolto alla classe nella sua totalità. Su una classe di 28 persone se dieci fanno casino, la classe è irrequieta. Se dieci non fanno i compiti? Voi non studiate. A casa il voi si riferisce ai fratelli. Arriva un punto in cui non sembriamo più capaci di riprendere uno dei due figli, senza estendere il rimprovero anche all’altro, in odiose generalizzazioni. E’ vero che a volte è difficile stabilire chi abbia fatto cosa, ma a un certo punto diventa una specie di tic dire voi.
E, onestamente, a chi non darebbe fastidio?
- Eccedere in aggettivazione ed etichette in una fase della vita in cui si sta strutturando la propria identità. Nessuno condividerà mai niente con voi se avete un atteggiamento giudicante o se appiccicate etichette sulle persone come fossero quaderni. Parlate descrivendo fatti. La PNL (Programmazione Neuro-Linguistica) insegna: meno aggettivi. Che significa? “Hai lasciato la tua camera in disordine” contro “Sei disordinato”: trovate le differenze?
- Usare sempre e mai. Dire a un ragazzo che non mette mai a posto la camera (o che la sua camera è sempre in disordine) equivale a etichettarlo come disordinato. Diverso è dirgli “Ieri non hai messo a posto la camera.” Noi genitori lo sappiamo: la camera non la mette mai (o quasi) a posto, però se gli diciamo che è disordinato, lui si adeguerà all’etichetta che gli abbiamo messo e la camera davvero non la metterà a posto mai più.
Se l’oggetto della discussione siete voi, il vostro comportamento:
- Non personalizzate. Naturalmente le critiche sono rivolte a voi, quelli messi in discussione siete sempre voi e l’aggressività che le accompagna talora è insopportabile, ma bisogna imparare a considerarla solo una cornice del dialogo, inevitabile in questa fase. E poi si può sempre chiedere di ripetere lo stesso concetto con calma, spiegando che voi siete lì per ascoltarli e non c’è bisogno di alzare la voce. Se sanno che è vero (che siete lì per ascoltarli) ritroveranno il tono abituale.
- Ascoltateli: andate dietro i modi sgarbati e prestate attenzione alle parole. Noi genitori non siamo infallibili e molto spesso il nostro modo di comunicare lascia molto a desiderare e le parole feriscono i nostri figli. Magari lo hanno sempre fatto, ma, se non ve ne siete ancora accorti, state assistendo alla nascita di una proto-coscienza in loro della vostra fallibilità come genitori e, se impariamo ad ascoltare, possiamo diventare persone migliori.
E ricordate sempre: ci siamo passati tutti. Se voi appartenete a una specie rara che è riuscita ad attraversare gli sconvolgimenti ormonali dell’età indenni, rammentate allora il primo postulato dell’essere genitore: i nostri figli non sono noi.
@SimonaRivelli