L’asse Washington-Tel Aviv è di nuovo forte. A darne conferma è il presidente degli Stati Uniti, Donald Trump, nel corso della conferenza congiunta alla Casa Bianca con il primo ministro israeliano, Benjamin Netanyahu. Trump ha esordito in conferenza stampa parlando del programma nucleare iraniano e ha criticato l’accordo internazionale raggiunto a Vienna nel luglio 2015 fra Teheran e i paesi del gruppo 5+1(i membri del Consiglio di sicurezza Onu più la Germania). Uno “dei peggiori accordi che abbia mai visto” ha asserito il leader statunitense. Dal canto suo, Netanyahu ha rincarato la dose dichiarando che gli iraniani “violano costantemente anche quell’intesa” e per tale ragione “devono essere fermati prima che riescano a procurarsi l’arma nucleare”.
In merito al nuovo avvio del processo di pace in Medio Oriente per la risoluzione del conflitto israelo-palestinese il presidente Usa ha dapprima respinto “le azioni unilaterali contro Israele da parte delle Nazioni Unite” e poi ha ricordato che in fase negoziale “entrambe le parti dovranno giungere a dei compromessi”. “La soluzione dei due Stati non è l’unica soluzione – ha dichiarato Trump – se loro sono felici, lo sono anche io. A me piace (la soluzione, ndr) – ha continuato – ciò che piace sia agli israeliani sia ai palestinesi”.
Il presidente Usa ha chiesto, inoltre, che alla ripresa del processo di pace vengano associati anche altri paesi del Medio Oriente perché “gli stati arabi sono ormai pronti”. In risposta, il premier israeliano ha rimarcato che le precondizioni del suo governo a qualunque accordo con Ramallah sono sempre state due e non cambiano: primo, il riconoscimento da parte palestinese dello stato di Israele; secondo, il mantenimento di un controllo israeliano sulla Cisgiordaniaper questioni di sicurezza.
Già nella giornata di ieri, le prime indiscrezioni fatte trapelare in merito al possibile abbandono della soluzione dei due Stati da parte della Casa Bianca, avevano scatenato l’ira dei palestinesi. L’alternativa alla soluzione dei due Stati è “o uno stato unico con eguali diritti per tutti o l’apartheid”, aveva dichiarato l’esponente dell’Organizzazione per la liberazione della Palestina (Olp), Hanan Ashrawi. “Gli Stati uniti – ha aggiunto Ashrawi – spieghino con chiarezza di quale alternativa parlano. Se respingono la politica dei 2 stati distruggono le possibilità di pace e danneggiano gli stessi interessi di Washington”.
Intanto, sembra ormai confermato l’incontro avvenuto a Ramallah questa mattina tra il presidente palestinese Mahmoud Abbas e il capo della Cia, Mike Pompeo. In Israele ne dà notizia il quotidiano “Haaretz”. Secondo la stampa di Tel Aviv, da Pompeo sarebbero arrivati “messaggi rassicuranti” proprio riguardo la soluzione dei due Stati che Trump sembra considerare non più come unica prerogativa per il raggiungimento della pace in Medio Oriente.
Posizione più che concorde tra i due leader stranieri sullo spostamento dell’ambasciata degli Stati Uniti da Tel Aviv a Gerusalemme. Il presidente Usa si è detto favorevole al provvedimento e ha dichiarato che la sua amministrazione è al lavoro per giungere quanto prima al risultato sperato, nella consapevolezza che sia i palestinesi sia i membri delle Nazioni Unite, potrebbero considerarlo come “una inaccettabile provocazione”. E ancora, collaborazione piena e solida fra i governi di Washington e Tel Aviv contro il terrorismo e l’islamismo radicale.
Infine, toni più severi da parte di Trump in merito alla politica degli insediamenti israeliani nei territori palestinesi. Il leader della Casa Bianca ha chiesto che Israele “fermi l’espansione delle colonie almeno per un po’ di tempo”. Per arrivare a un accordo di pace Tel Aviv “deve mostrare una certa flessibilità”, ha precisato il presidente Usa ma nello stesso tempo i palestinesi “devono sbarazzarsi dell’odio” che viene insegnato loro “sin da piccoli”.
L’incontro tra Netanyahu e Trump è stato preparato dal consigliere per la Sicurezza nazionale, Michael Flynn, dimessosi nelle ultime ore per aver mentito su rapporti intrattenuti con funzionari russi. Flynn avrebbe discusso con l’ambasciatore russo a Washington, Sergey Kislyak, di una possibile revoca delle sanzioni contro Mosca il 29 dicembre scorso, lo stesso giorno in cui il presidente uscente Barack Obama aveva annunciato nuove misure restrittive contro la Russia per le interferenze nel voto di novembre.
@RosariaSirianni