In Romania non è finita. Dopo quindici giorni di proteste in strada nelle principali città è stata approvata in Parlamento la proposta di referendum popolare sulla lotta per la legalità. L’altra grande novità è che si è dimesso il 9 febbraio il ministro della Giustizia, Florin Iordache, del Partito Social Democratico, praticamente il principale responsabile del decreto sulla depenalizzazione del reato di corruzione. La legge “salva-corrotti” avrebbe favorito in particolare alcuni politici e, grazie alle istancabili manifestazioni, era stata ritirata domenica scorsa. Non si vedeva una partecipazione così forte dai tempi della caduta del comunismo.
“E’ una giornata di lutto per lo Stato di diritto”, aveva annunciato il presidente Klaus Iohannis del Partito Nazionale Liberale, eletto nel 2014, sulla sua pagina Facebook. Anche lui ha sostenuto le proteste e non riesce ad accettare la decisione del governo guidato da Sorin Grindeanu, Partito Social Democratico, PSD, eletto Primo Ministro alle elezioni legislative del decembre 2016. Il dissenso si è diffuso velocemente in tutto il Paese, risvegliando un profondo sentimento di rabbia. Secondo fonti della stampa rumena, nella serata di picco 300.000 persone sono scese in piazza a manifestare.
Casa Jurnalistului è un collettivo per la libertà d’informazione in Romania, che ha seguito fin dall’inizio le proteste e ci hanno spiegato per telefono la situazione: “Il governo avrebbe dovuto aspettarselo, vista l’entità della rivolta popolare. Infatti, nelle piazze romene i manifestanti si preparavano già da mesi. Circa una decina di giorni prima era cominciata una protesta contro una riforma del codice penale per svuotare le carceri. Nelle scorse settimane erano tra 70.000 e 100.000 le persone che manifestavano al gelo. A Bucarest, la capitale, ma anche in tutte le altre città del paese. A prima vista il progetto potrebbe sembrare legittimo, dal momento che le carceri della Romania sono effettivamente sovraffollate. Peccato che questa modifica avrebbe permesso di depenalizzare l’abuso d’ufficio quando i danni sono inferiori a 44.000 euro, il famoso decreto permetterebbe di graziare 2.500 detenuti, tra cui colpevoli di crimini di corruzione”.
Il Paese è dunque il teatro di attuali movimenti sociali e storici. “Bisogna però contestualizzare – continuano i giornalisti di Casa Jornalistului – stiamo parlando della Romania, Paese in cui la lotta alla corruzione e l’urgenza di una società civile romena hanno preso piede solo negli ultimi anni. Spinta dall’Unione europea, la Romania ha lanciato un’implacabile campagna anticorruzione, specialmente grazie alla creazione della Direzione Nazionale Anticorruzione (DNA) che ha permesso di arrestare decine di politici corrotti. Il Partito Social Democratico, attualmente al potere, non è riuscito ad evitarlo. L’ex Primo Ministro, Victor Ponta, è stato messo sotto controllo giudiziario per abuso d’ufficio ed evasione fiscale, mentre il capopartito Liviu Dragnea si sarebbe lanciato a capofitto in un processo per creare posti di lavoro fittizzi. I danni ammontano in questo caso a 24.000 euro, fanno sapere i procuratori. Il decreto di martedì gli avrebbe quindi permesso di evitare la prigione”.
Anche la Commissione europea ha espresso preoccupazione. “La lotta alla corruzione deve andare avanti, non arretrare. Stiamo seguendo l’evolversi della situazione in Romania con molta apprensione”, hanno comunicato il presidente Jean-Claude Juncker e il primo vice-presidente Frans Timmermans in un comunicato congiunto. Hanno inoltre “messo in guardia contro un arretramento” del Paese in questo ambito, sottolineando che la Commissione “esaminerà attentamente i cambiamenti apportati alla legislazione”. Nel mirino dei manifestanti non c’è solo il governo in carica o il decreto, bensì soprattutto un sistema in cancrena e paralizzato. Diversamente ad altri ex paesi comunisti, la Romania non ha mai condannato i responsabili e alcuni hanno persino potuto mantenere il loro incarico. Molti di questi sono rimasti delusi dal risultato delle recenti elezioni grazie alle quali il Partito Social Democratico (PSD) ha riottenuto la maggioranza in Parlamento.
Il PSD è visto come l’eredità dell’ex amministrazione comunista: un partito fatto di politici corrotti che avranno soprattutto il sostegno della fetta più anziana della popolazione. Nato in seguito alla rivoluzione del 1989, il partito è stato creato da Ion Iliescu, ex affiliato di Ceausescu e primo presidente della Repubblica, lo stesso Ion Iliescu recentemente condannato per crimini contro l’umanità per la Mineriada degli anni ’90. L’ex responsabile politico aveva ingaggiato dei minatori per picchiare studenti e altri manifestanti durante una protesta contro il governo in carica ed è stato accusato di aver rubato la rivoluzione del 1989. Erano in molti a sperare che, in occasione delle elezioni legislative di dicembre, con il fallimento del PSD avrebbe avuto luogo un “grande repulisti”. Tuttavia, ben radicato nella società da 25 anni, il partito può ancora contare sul supporto di numerosi elettori.
Questa lotta contro la corruzione, a tratti contro l’intero sistema, non può essere portata a termine senza l’aiuto della società civile e dei cittadini. “La società civile ha fatto sentire la propria voce specialmente nel 2012 e nel 2013 – spiegano dal collettivo per l’informazione Casa Jornalistului – quando si sono svolte alcune proteste contro le riforme del sistema sanitario e contro un progetto minerario a Rosia Montana. Sono nate così nuove organizzazioni, insieme a nuovi media di investigazione, come Rise Project o Casa Jurnalistului. La resistenza creata dalla società civile non poteva più essere ignorata. E il suo nuovo palcoscenico erano le piazze. Uno scandalo riguardante un ospedale? «Iesim în strada», (Scendiamo in piazza!). Nuovi progetti di disboscamento? «Iesim în strada»”.
A novembre del 2015, in seguito all’incendio nel club Colectiv che aveva provocato 60 morti, migliaia di romeni avevano costretto il Primo Ministro Victor Ponta a dimettersi ripetendo allo sfinimento il coro: “La corruzione uccide!”. Ponta non era direttamente coinvolto nell’accaduto, tuttavia erano state diffuse prove che collegavano l’incendio a crimini di corruzione. Accusato anche lui di abuso d’ufficio, era diventato il simbolo di un male da sradicare.
Nelle proteste della Romania di oggi, i manifestanti, tra cui molti giovani provenienti dalla generazione del post ’89 e amanti dei social, hanno intenzione di far sentire ancora una volta la loro voce. Per l’occasione è stato pubblicato online un kit di disobbedienza civile: #Rezist. Questo hashtag raccoglie tutte le informazioni necessarie, dai dettagli per portare a termine le proteste al numero dei membri del governo. Due hotel offrono addirittura camere gratis per coloro che si recano nella capitale per manifestare. Gli attivisti hanno intenzione di protestare per giorni davanti alla sede del governo, chiedendo le dimissioni dei parlamentari, l’annullamento del decreto e elezioni anticipate.
Purtroppo, diversamente dall’esito positivo delle precedenti proteste, anche le dimissioni del governo in carica non porteranno all’annullamento definitivo del decreto. L’unica soluzione sarebbe che il Consiglio Costituzionale deliberasse sulla questione e giudicasse il testo, non solo anticostituzionale, ma «nul de drept» (letteralmente: nullo di diritto, invalido). Intanto, la notizia del referendum approvato in Parlamento è un passo in più contro la corruzione.