Le priorità di Donald Trump possono riassumersi in due macro indirizzi: ridare vigore all’economia Usa e riprendere un certo controllo geopolitico dello scacchiere globale – senza subire le conseguenze di un declino purtroppo sempre più evidente – dopo gli 8 anni disastrosi (quanto meno in politica estera) del duo Obama/Clinton. Parallelamente ci sono le promesse elettorali da mantenere oltre alla necessità di consolidare la maggioranza elettorale repubblicana evitando derive poco o nulla anglofone ed anglofile, sia in termini economici che sociali.
Per fare questo il neo presidente Usa deve focalizzarsi su tre aree di intervento:
-Ristabilire l’equilibrio conservatore in seno alla Corte suprema, per poter disincagliare decisioni di politica interna di stampo prettamente conservatore
-Forgiare la politica monetaria atta a sostenere i suoi indirizzi economici, basati sulla crescita robusta del PIL con occupazione autoctona
-Ridefinire uno schema geopolitico globale in cui Washington continui ad avere voce in capitolo, magari ridefinendo le proprie sfere di influenza in selezionati teatri geostrategici.
La prima area di intervento verrà affrontata con la nomina di un giudice conservatore alla Corte suprema, sebbene ben difficilmente verra reperita una testa giuridica sopraffinamente originalista e conservatrice come quella del fu Antonin Scalia.
La terza area verrà affrontata per ultima in quanto sarà necessario provvedere al rimpiazzo di più della metà del corpo diplomatico apicale in seno alla Segreteria di Stato, consulenti strategici inclusi (certamente il segretario di Stato Tillerson saprà portare i risultati per cui è stato assunto nell’interesse dell’America, nonostante le evidenti “incrostazioni” Dem e/o neocon nei ranghi amministrativi del ministero degli esteri Usa).
Appunto, avendo come obiettivo l’interesse degli Usa nel suo complesso – e non quello delle elites finanziarie delle due coste, east e west – la partita di gran lunga più importante ed urgente è quella della Fed con l‘obiettivo di indirizzare la politica monetaria già nei primi 100 giorni.
In tale contesto vanno analizzate le dimissioni di 2 governatori Fed su 5 negli scorsi giorni, ricordando che l’organico completo dovrebbe essere di 7 governatori (oggi sono solo 5 in quanto le proposte di Obama di ampliamento non sono state ratificate dagli organi politici competenti). Ossia, senza troppo enfatizzare che tra i due governatori Fed dimissionari contemporaneamente ci sia anche il superveterano Scott Alvarez (vera eminenza grigia degli ultimi 8 anni di decisioni emergenziali che hanno portato QE e tassi negativi in mezzo mondo), nel momento in cui Trump completerà i ranghi con le nomine i suoi uomini avranno la maggioranza alla Fed.
Cosa comporterà questo? Semplice, si farà ripartire l’economia attraverso un crollo del dollaro, oggi sotto molti punti di vista sopravvalutato. Il metodo sarà lo stesso della sterlina post Brexit, fare inflazione – magari per il tramite di investimenti statali a sostegno dell’economia unitamente al taglio delle tasse – dichiarando bellamente via banca centrale che si farà poco o nulla per contrastarla coi tassi di interesse.
Il problema è che tale svalutazione del dollaro finirà per far fare crack all’Ue, costringendo i periferici ad uscire dalla compagine della moneta unica in quanto incapaci di sopportare una svalutazione del dollaro, a fronte del pre esistente fardello di un euro asimmetrico troppo debole per la Germania e troppo forte per i paesi in crisi. Ossia, verrà concretizzato lo scenario paventato da Stratfor nelle scorse settimane, instabilità sociale in Germania là da venire (leggasi, se l’euro si rompe il nuovo Marco rispetto alla nuova lira, con il supporto mediatico delle fanfare anglosassoni affinché Berlino rivaluti, potrebbe nel brevissimo termine vedere un decollo della valuta germanica anche del 60-70% rispetto a quella italiana annientando l’export tedesco, per la gioia di Washington).
Tutto questo fa il paio con l’elezione a presidente della Repubblica di Germania di Steinmaier, un pangermanista anti americano decisamente non allineato agli indirizzi Nato, facente parte della corrente di pensiero – sempre più maggioritaria a nord del Gottardo – secondo cui la Germania dovrebbe rivestire un ruolo militare egemonico in veste Ue, anche attivandosi per avere l’atomica.
Letta in questo modo, siamo arrivati al punto in cui è necessario ridimensionare Berlino in veste di competitor a tutto tondo degli Usa. E tale ridimensionamento avrà come pietra angolare la destabilizzazione dello strumento di egemonia economica di Berlino sull’Ue, l’euro. E come alleati i “soliti soggetti” filo atlantici mediterranei oggi incatenati chi contro i loro interessi nell’Ue.
Tutto torna. E sarà un problema serio per gli italiani, purtroppo.