Donald Trump stringe il cappio intorno all’Iran. Dopo il test missilistico effettuato da Teheran la scorsa settimana, la nuova amministrazione americana ha dato il via libera a nuove sanzioni contro la Repubblica Islamica. Un’escalation maturata nel corso delle ultime settimane, prima attraverso il controverso “muslimban”, che ha colpito i cittadini di sette paesi islamici tra cui l’Iran, poi con le dure parole del consigliere alla sicurezza nazionale della Casa Bianca, Michael Flynn, che ha accusato Teheran di avere «un atteggiamento destabilizzante in tutto il Medio Oriente», criticando apertamente anche il Nuclear Deal, fiore all’occhiello dell’amministrazione Obama. “Da oggi, l’Iran è ufficialmente avvisato”, ha dichiarato Flynn. Parole condivise dal presidente Trump che, in un tweet, ha accusato l’Iran di “giocare con il fuoco”. La risposta delle autorità iraniane non si è fatta attendere. “Un principiante della politica”, così Hassan Rohani, presidente iraniano, ha definito il tycoon, annunciando contro-sanzioni volte a impedire l’ingresso sul territorio iraniano di individui e aziende americane, secondo il principio della reciprocità.
“L’Iran è indifferente alle minacce perché la sua sicurezza deriva dal suo stesso popolo”, ha dichiarato il ministro degli esteri iraniano Zarif. Il capo della diplomazia iraniana ha poi proseguito: “Non useremo mai le nostre armi contro nessuno, se non per autodifesa, fateci vedere se coloro che si lamentano possono fare la stessa dichiarazione”. Un chiaro riferimento al presidente americano e alla sua amministrazione. Il nuovo corso della Casa Bianca si preannuncia piuttosto turbolento. Il Medio Oriente, parzialmente “abbandonato” da Barack Obama, con grande disappunto degli alleati storici, Israele e Arabia Saudita, torna al centro dell’agenda di politica estera americana. L’obiettivo di Trump è quello di ricucire gli strappi obamiani post primavere arabe con sauditi e israeliani. Proprio l’abbandono americano ha avvicinato Riyadh e Tel Aviv che, nonostante le palesi divergenze, condividono una comune preoccupazione nei confronti dell’Iran, reo di voler costituire un’alleanza tutta sciita che unisca Teheran, Damasco e Beirut. Un asse alternativo che mette in seria difficoltà la supremazia regionale di sauditi e israeliani, ma che preoccupa anche la Turchia, per ora alle prese con il dossier siriano e con il terrorismo jihadista. Il containment iraniano, però, è funzionale anche a spezzare l’intesa sino-iraniana, consolidata dal faraonico progetto cinese della nuova via della seta.
Pechino è il vero “incubo” dei repubblicani alla Casa Bianca. Isolare la Cina è l’obiettivo numero uno dell’amministrazione Trump. Una strategia che agisce su più fronti, non solo con un confronto diretto, come nel mar cinese meridionale, ma anche indiretto, sia per evitare la penetrazione cinese in altri scenari, come quello mediorientale, sia per spezzare l’approvvigionamento energetico di Pechino. L’Iran, secondo esportatore di greggio in Cina, dopo l’accordo sul nucleare ha aumentato la produzione di petrolio e la sua collaborazione con i cinesi, diventando la testa di ponte per gli interessi del gigante asiatico in Medio Oriente. Spezzare questa cooperazione è uno dei primi passi che l’amministrazione Trump si propone di compiere. Un attivismo che però gli Stati Uniti potrebbero pagare a caro prezzo, favorendo la destabilizzazione del Medio Oriente, l’aumento del terrorismo jihadista, di cui l’Iran è uno dei principali oppositori, e una guerra, per ora commerciale, con la Cina, un’eventualità potenzialmente pericolosa per l’interesse della comunità internazionale.