Declassamento dalla lista di tutela Unesco. Venezia riesce a evitare la sanzione che sarebbe scattata il 1 febbraio. L’incontro svoltosi alcuni giorni fa a Parigi tra il sindaco Luigi Brugnano e il direttore generale Unesco, Irina Bokova, pare aver scongiurato la possibile onta sulla città, da troppo tempo al centro delle polemiche per il decadimento strutturale, “l’invasione” delle grandi navi in laguna e l’eccessivo carico di escursionisti. È sul “Patto per Venezia”, firmato il 26 novembre scorso, con un impegno dell’ex Governo Renzi di circa mezzo miliardo di euro, che si è aperta la discussione sulle misure da adottare nei prossimi quattro anni dalle autorità italiane e dal Comune di Venezia per garantire la protezione a lungo termine del sito. Salvaguardare la conservazione della città. E’ questo il monito imposto sia durante il sopralluogo eseguito dal comitato europeo Unesco, il 5 e 6 novembre, in occasione del 50 anniversario dell’alluvione, che dopo le preoccupazioni sollevate lo scorso luglio dal Comitato del Patrimonio mondiale.
Turismo sostenibile e gestione dei flussi sono tematiche che risultano essere tra gli obiettivi del Piano Strategico Nazionale, presentato dal ministero delle Attività Culturali e del Turismo, il 16 dicembre scorso. L’incontro bilaterale tra il direttore generale e il sindaco, è stato seguito da riunioni di lavoro per esplorare vari aspetti della gestione del sito patrimonio mondiale. L’ultimatum lanciato per Venezia ha acceso il dibattito nazionale e internazionale sulla conservazione e tutela dei 47 siti italiani iscritti nella lista del Patrimonio Unesco. Era stato al meeting ad Istanbul che si era paventato per Venezia il possibile declassamento a centro monumentale a rischio, come alcuni siti orientali. Tra gli adeguamenti proposti ci sono quelli ambientali. Italia Nostra, associazione per la salvaguardia e la conservazione dell’ambiente e del territorio in Italia, suggerisce misure per arginare i turisti fai da te e mordi e fuggi, “salvare” dagli assalti eccessivi i monumenti, regolamentare e limitare la diffusione di appartamenti in affitto, incentivare residenti e proprietari che intendano ristrutturare gli immobili, agevolare i negozi di vicinato e chi intende stabilirsi nella città. Da parte del “gruppo25aprile”, che da tempo si batte per una Venezia meno consumata e più vissuta, arriva l’appoggio a queste idee. Ma cosa bisogna fare (o non fare) per finire nel mirino dell’Unesco, ritenuta la più conciliante tra le agenzie Onu? Alcuni giorni fa si è parlato anche di un possibile declassamento di Napoli per i ritardi clamorosi nel recupero del centro storico. E ancora Pompei, al centro di una querelle senza fine tra Soprintendente e sindacati, nuovi crolli e manutenzione zoppicante con i blocchi dei cantieri, per i ricorsi al Tar di alcune aziende fuori dagli appalti milionari. Una corsa contro il tempo per non perdere le risorse europee e una gestione commissariale presieduta dai carabinieri.
In realtà con l’Unesco, il nostro Paese rischierebbe davvero poco, non solo perché detiene la pole position con 50 siti riconosciuti, ma perché l’estromissione richiede condizioni critiche e tempi assai lunghi, come sanno le uniche due maglie nere in 69 anni di storia, la città di Dresda e il santuario dell’Orice d’Arabia nel deserto dell’Oman. L’unico richiamo all’Italia arrivò per le cave di pomice delle Eolie, ma si intervenne e il vincolo fu sciolto. Meno virtuose Spagna e Francia. La Cina, seconda a quota 45 siti, ha risalito la lista evitando almeno in questo campo qualsiasi ammonizione.
La procedura di cancellazione è complessa e può durare anche sei anni. All’inizio l’Unesco dovrebbe scrivere al governo chiedendo di rimuovere gli ostacoli. Poi dovrebbero essere concordate ispezioni, effettuati i richiami, e in presenza di una situazione d’incuria clamorosa associata a un’indisponibilità a intervenire occorrerebbe rivolgersi al comitato mondiale e alla fine, prima di essere depennato, il sito dovrebbe essere iscritto nella lista dei patrimoni in pericolo. Quando nel 2007 fu declassato l’Oman, pochi conoscevano la riserva, dimora di specie rare come gli orici d’Arabia, che aveva ricevuto le stellette nel 1994. E pochissimi immaginavano che la decisione del governo di ridurre del 90% il parco e la sua fauna sarebbe costata a Mascate il cartellino rosso dell’Unesco. Qualche mese dopo, volendo costruire un ponte sul delta dell’Elba, la città di Dresda indisse un referendum chiedendo ai tedeschi se preferissero snellire il traffico o restare Patrimonio dell’umanità. La risposta inequivocabile convinse l’amministrazione a giocare d’anticipo riconsegnando nel 2009 il titolo che le sarebbe stato ritirato.
Sono 44 al momento i pericoli lanciati dall’Unesco. C’è la chiesa della Natività di Betlemme, minacciata dalle infiltrazioni d’acqua più che dai proiettili incrociati dell’assedio del 2002, durante la seconda Intifada. Ma ci sono anche maglie grigie assegnate in tempo di pace come il parco nazionale di Everglades, in Florida, la cui designazione del 1979 è messa a rischio dalla furia degli uragani e da quella edilizia. Ancora i monumenti a bassa manutenzione di Mtskheta in Georgia, le cilene raffinerie di salnitro di Humberstone, Santa Laura sotto pressione da incuria e vandalismo, o la Liverpool «mercantile marittima» riconosciuta nel 2004 come «supremo esempio di porto commerciale all’era della grandezza britannica» e contestata nel 2012 per il piano di ristrutturazione dei docks.
@agoingenito