A un mese dalla battaglia di Aleppo, la situazione in Siria rimane critica. Secondo i vertici di Oms, Unicef, Onu e World Food Programme, nel Paese, al momento, ci sarebbero 15 località sotto assedio con 700mila persone intrappolate. L’emergenza umanitaria continua, mentre le trattative per giungere ad un accordo tra le parti sembrano procedere. L’impasse che durava da quasi un anno si è sbloccata e i nuovi negoziati di pace si terranno il 23 gennaio ad Astana, in Kazakistan. Un summit guidato da Russia, Turchia e Iran a cui ci saranno (quasi) tutti, esclusi, ovviamente, i gruppi estremisti come Isis e Fateh al Sham.
Un incontro più tecnico che politico, con lo scopo di preparare il terreno alla prossima conferenza di pace di Ginevra prevista per il prossimo 8 febbraio, a cui dovrebbero prendere parte sia le Nazioni Unite che la nuova amministrazione Usa a guida Trump. Mentre la diplomazia lavora per un cessate il fuoco, sul campo la situazione resta critica. Nelle ultime ore, le milizie jihadiste dello Stato Islamico hanno sferrato un attacco di grosse proporzioni contro le postazioni dell’esercito siriano nella città di Deir Ezzor, nel nord-est del Paese. La città occupa una posizione strategica sulle rive dell’Eufrate e, dal 2014, è circondata dalle truppe jihadiste. Una città martire teatro, lo scorso anno, di un massacro in un cui morirono più di 300 persone per mano delle milizie di Al Baghdadi. L’attacco delle scorse ore, sarebbe stato respinto dall’esercito siriano grazie al supporto dell’aviazione russa, ma la città resta comunque divisa in due. L’offensiva jihadista, secondo gli analisti, è stata preparata con il supporto dei miliziani provenienti dall’Iraq, in fuga da Mosul e dalle aree liberate dall’esercito di Baghdad.
Una risposta, quella del Califfato, sia all’offensiva della coalizione in Iraq, sia ai tentativi di pacificazione in corso tra ribelli e governo siriano. Un rebus, quello siriano, che si arricchisce di ulteriore incertezza dopo la vittoria di Donald Trump alle presidenziali negli Stati Uniti. Se l’amministrazione Obama aveva preso una posizione chiara a fianco dei gruppi ribelli, strizzando l’occhio anche ai gruppi estremisti, Donald Trump ha sempre dichiarato di essere pronto a fare la sua parte a fianco della Russia. Un clamoroso ribaltamento di fronte, quindi, che potrebbe segnare la svolta per un conflitto che dura da 6 anni e che ha causato più di 300.000 morti. Un contributo fondamentale quello del neo presidente, tanto da meritarsi un invito ufficiale dal Cremlino ai negoziati di Astana. “Ci è stato chiesto di assistervi”, ha spiegato Sean Spicer, futuro portavoce del presidente Trump, ma, per ora, non è arrivata nessuna risposta ufficiale.