Grandi imprese che ricevono prestiti dalle banche e non li restituiscono. La fotografia della Cgia, la Confederazione Generale dell’Artigianato, del circuito bancario-imprenditoriale è impietosa: l’81% del totale dei crediti inesigibili, le cosiddette sofferenze, è responsabilità dei giganti economici italiani.
A dimostrarlo ulteriormente è un dato: la quota più interessata dai crediti inesigibili fra i prestiti erogati dagli istituti di credito è solo un decimo del totale. In altre parole il 10%, che corrisponde agli affidati più facoltosi, avrebbe goduto di maggiore fiducia da parte delle banche e avrebbe generato loro più problemi.
I dati in esame del centro studi di Mestre aggiornati a settembre del 2016 mettono in luce una situazione che bene non fa alla piccola a media impresa, che ora gode di minor credito presso gli istituti bancari. Basti pensare che, secondo quanto rivela la Cgia, dal novembre 2015 allo stesso mese del 2016 gli impieghi alle imprese italiane sono diminuiti di 21,3 miliardi di euro. Se si considera che le attuali sofferenze del sistema bancario italiano ammontano a 186,7 miliardi di euro lordi la cifra fa riflettere.
Analizzando le tossicità del comparto creditizio del Paese la Cgia di Mestre va ancora più in profondità. Dell’ammontare lordo degli importi inesigibili, oltre 130 miliardi di euro sono ascrivibili a prestiti superiori a mezzo milione di euro. Cifre alla portata proprio delle grandi imprese della Penisola, per la Cgia ed il coordinatore dell’ufficio studi Paolo Zabeo, i “responsabili” di questa situazione di ristagno dell’economia.
“Un’anomalia tutta italiana che – secondo Zabeo – si è alimentata in questi ultimi decenni attraverso il massiccio ricorso al credito relazionale”. Ovvero i soldi, nella stragrande maggioranza dei casi, venivano prestati, aggiunge il coordinatore, “agli amministratori, ai soci e ai conoscenti senza garanzie, con la complicità delle istituzioni predisposte al controllo che, colpevolmente, hanno fatto finta di non vedere”.
Ancora più duro Renato Mason, segretario della Cgia. “La fiducia nei confronti delle banche salvate con il contributo dei soldi pubblici si riconquista anche attraverso la pubblicazione dei nomi, degli importi non ancora restituiti e – denuncia Mason – della quantità di aiuti che questi istituti si sono fatti carico sino a ora per le ristrutturazioni di queste aziende insolventi”.
Il dato che ne viene fuori, l’81% di sofferenze che sarebbe merito dei grandi gruppi imprenditoriali, è comunque il frutto di una media nazionale. In alcune regioni italiane quel 10% di beneficiari pesa anche di più sul groppone delle banche. In Lazio si arriva all’85%, in Emilia quasi all’83% e in Valle d’Aosta all’82,6%.
Se guardiamo le province la situazione vede in testa La Spezia, con quasi l’87% di sofferenze causato dal primo 10% degli affidati. La provincia di Roma supera l’86%, piazzandosi al secondo posto seguita da Verbania, a quota 86,5%.
Le tabelle dei dati forniti dall’ufficio studi mostrano un avvitamento mortale della grande impresa se si tratta di restituzione dei prestiti concessi dalle banche. Dal 2011 al 2016 le sofferenze derivanti dai crediti concessi per cifre superiori al milione di euro, in valori numerici, sono raddoppiate. Se nel 2011, per la Cgia, chi era in grado di ricevere un prestito da uno a 2,5 milioni di euro contribuiva alle sofferenze pesando oltre 12 milioni di euro, oggi, a parità di beneficio creditizio da parte delle banche, la stessa classe contribuisce per 26 milioni al fardello dei crediti inesigibili.