Il mondo è in trepidante attesa per le mosse di Donald J. Trump per combattere il disavanzo commerciale americano. Si parla sempre più di dazi all’entrata per limitare il surplus altrui a danno di quello Usa come surrogato della svalutazione tout court della moneta, svalutazione che avrebbe l’effetto di ridurre tutte le importazioni americane. Chi scrive ritiene che, sebbene le due misure – dazi e svalutazione – siano di fatto due facce della stessa medaglia, la corrente amministrazione perseguirà un mix, prima imponendo dazi per sgrossare il deficit in ambiti specifici, successivamente si procederà ad ottenere una svalutazione del dollaro.
Per capire dove si concentreranno gli sforzi trumpiani bisogna prima di tutto andare a vedere chi sono i cosiddetti manipolatori della propria moneta secondo i criteri Usa attuali, criteri per altro abbastanza flessibili a seconda delle esigenze della presidenza. Obama ne ha indicato tre che, sebbene correggibili, ci danno una base di lettura abbastanza indicativa di cosa dobbiamo aspettarci (ed a danni di chi):
- Surplus commerciali bilaterali vs. USA superiore a 20 mld USD annuali
- Surplus delle partite correnti superiore al 3% del PIL
- Acquisti di valuta superiori al 2% del proprio PIL
Ora, chi sono i Paesi che hanno maggiore surplus commerciale con gli Usa? In ordine:
Canada – $576.7 mld con $15.5 mld deficit [non manipolatore, 1 su 3].
China – $599.4 bn mld $367 mld deficit. [non manipolatore, 2 su 3]
Mexico – $532.1 mld con $60.6 mld deficit [manipolatore, 3 su 3]
Giappone – $193.6 mld con $68.6 mld deficit [manipolatore, 3 su 3]
Germania – $174.8 mld con $74.9 mld deficit [manipolatore, 3 su 3]
Chiaro che andrà poi valutato quali siano i prodotti stranieri che competono direttamente con quelli americani, ad es. avrebbe poco senso imporre dazi sull’importazione dei formaggi tipici se tali prodotti comunque non trovano riscontro nella produzione locale, mediando tale approccio con gli aspetti di strategia globale (ad es. è ben difficile che Canada e Giappone verranno colpiti da dazi, per ovvi motivi di alleanze). Il sunto è che i paesi con il maggior rischio di essere oggetto di limitazioni al commercio sono quelli che più aggressivamente traggono beneficio del mercato USA senza darne contributi; in particolare emergono Messico, Cina e Germania.
Il primo obiettivo sarà certamente il Messico che sta attuando un vero e proprio arbitraggio transfrontaliero tra produzione locale a basso costo e vendita nel ricco mercato Usa: molte produzioni americane dovranno essere spostate verso l’America a pena di pesanti dazi, la vicinanza tra i due mercati obbliga ad interventi radicali se non si vuole arrivare ad estremizzare produzioni sistematiche a basso costo in Messico deindustrializzando gli Usa.
Il secondo obiettivo sarà certamente Cina, sebbene tecnicamente non sia un manipolatore della propria valuta in quanto sta teoricamente comprando yuan per evitare che crolli.
Ma il bersaglio grosso sarà la Germania, con tante produzioni molto simili a quelle americane e quindi a forte rischio dazi. Se poi si aggiunge che da una parte Berlino usa l’euro per avvantaggiare le proprie esportazioni grazie ad una moneta molto più svalutata dell’ipotetico marco oltre al fatto che tutti e tre i criteri sono soddisfatti il panorama è terrificante per i renani, ecco forse perchè odiano tanto il tycoon newyorese (NB: Berlino ha il più grande surplus commerciale pro capite al mondo, tra 10 e 20 volte superiore a quello della Cina!!!).
Facciamo molta attenzione: Trump ha tutti gli assi in mano, consumi mondiali pari a 5-600 mld USD annui, l’esercito più potente del mondo e la valuta di riserva globale. Pensiamo solo a cosa succederebbe se gli Usa smettessero di consumare o limitassero fortemente i loro consumi esteri in forza di svalutazioni o dazi: ci sarebbero appunto 600 miliardi di prodotti esteri che non troverebbero sbocco commerciale conducendo ad eccesso di produzione ossia a deflazione e recessione globale, mentre gli Usa spostando i loro consumi verso prodotti locali – ricetta autarchica, tipica di paesi che vogliono risolvere i loro squilibri – resterebbero in piedi.
E l’Italia? Non vedo grandi problemi in quanto la nuova amministrazione Usa ha dichiarato candidamente che gli accordi commerciali ed i dazi oltre che le collaborazioni strategiche andranno di pari passo, un do ut des in salsa geoeconomica. Visto che Roma è e sarà a pieno titolo il migliore alleato Usa non anglosassone la quadra verrà trovata, soprattutto perchè a fronte dei criteri sopra indicati le produzioni italiche esprimono consumi statunitensi in gran parte non soddisfabili da produzioni locali, pensiamo solo all’agroalimentare.
Resta il fatto che una guerra commerciale americana contro la Germania non farà altro che rafforzare le tensioni con l’Ue, ormai in via di progressivo disfacimento. Ad esempio un indebolimento del dollaro farebbe saltare per aria la moneta unica, stretta tra paesi che sopravviverebbero sebbene a fatica – ad esempio la Germania – ed altri che letteralmente fallirebbero – ad esempio l’Italia – svalutando ulteriormente l’euro ossia rendendo inevitabile una uscita dalla moneta unica dei periferici, anche per volere Usa?