Più di 8mila canali chiusi negli ultimi 4 mesi del 2016. Sono le cifre della lotta alla propaganda jihadista rese note dai fratelli Durov, fondatori e amministratori di Telegram. Ma il 2017 si apre con un’altra iniziativa che mira a far saltare molte delle comunicazioni ad alto rischio radicalizzazione. La novità si chiama Isis Watch.
Si tratta di un bollettino con cui l’azienda russa si occuperà di monitorare e rendicontare l’attività di lotta alla propaganda che alcuni degli utenti di Telegram portano avanti. Le cifre parlerebbero a favore dei fratelli Durov, uno dei due fondatore anche di Vk (il social network omologo di Facebook che ha spopolato in Russia). Solo nella giornata del 26 dicembre sarebbero stati chiusi 105 canali. Oltre 2mila soltanto nel mese di dicembre del 2016 e più cinque volte tanto se si prende in esame tutto l’anno 2016.
Tuttavia l’app social che avrebbe nel suo bacino circa 100 milioni di utenti continua a far gola agli apprendisti del terrore per le sue peculiarità. Il fondatore 32enne Pavel Durov questo lo sa e, sebbene i numeri gli diano ragione, non può escludere al 100% la possibilità che gruppi di radicalizzatori possano essere sulla piattaforma. “Si può fare poco, perché se consenti a questo strumento di essere usato in positivo – ha detto il 32enne russo che dal 2014 si è stabilmente trasferito nell’isola tropicale di Saint Kittis and Nevis – ci sarà sempre qualcuno che ne farà un uso per fini cattivi”.
Ma perché Telegram? L’app di creazione russa ha un funzionamento molto simile ai sistemi di instant chatting ma con delle potenzialità in più. È possibile infatti aprire delle chat segrete, in cui stabilire ad esempio la durata di permanenza dei messaggi sullo schermo dei partecipanti alla conversazione. In altre parole stabilendone un timing di autodistruzione non appena il destinatario ha letto il messaggio. Altra potenzialità a disposizione dell’app è la possibilità e la velocità di trasmissione di materiale durante le conversazioni, fino oltre un gigabyte.
Per questo Telegram è diventata l’applicazione di elezione del Califfato e i suoi creatori sono stati additati di aver fatto poco o nulla per scongiurare che il loro software diventasse il postino dell’Isis. Un ammonimento era arrivato ai vertici dell’azienda persino dalla Commissione Affari Esteri della Camera dei rappresentanti a Washington, secondo la quale “nessuna azienda privata dovrebbe consentire ai suoi servizi di promuovere il terrorismo e pianificare attacchi che versano sangue innocente”.
Uno studio del Memri, il Middle East Media Research Institute, ha fatto il punto sull’utilizzo di Telegram da parte della propaganda jihadista. L’indagine dell’istituto è arrivata a individuare chat room segrete e canali alimentati in automatico da server in giro per il mondo che miravano al bombardamento ideologico.
Un’inchiesta del Washington Post ha fatto ulteriore luce su quanto approfondito dal Memri. Gif, video di addestramento alla preparazione di esplosivi e al combattimento, liste di obiettivi e piani di attacco. Fra questi anche una chat segreta in cui si sarebbe pianificato di colpire l’ambasciata Usa a Londra. Sono solo alcune delle minacce venute alla luce dalle chat room dell’app dei fratelli Durov.
Una potenzialità immensa, quella di Telegram, che in termini di diritti civili era stata inizialmente salutata con favore visto lo scandalo Datagate. Ma ora rischia di rivoltarsi contro.