Countdown, ovvero conto alla rovescia. E no, non stiamo parlando del nuovo anno in arrivo, ma di chi, uomo o donna che sia, conta in modo febbrile e disperato gli ultimi giorni, minuti e secondi che gli restano da vivere prima di essere condannato a morte.
E nonostante l’Onu lo scorso 19 dicembre abbia confermato la richiesta di una moratoria universale delle esecuzioni capitali nel mondo, quest’anno i Paesi abolizionisti di fatto, ovvero coloro che da almeno 10 anni non eseguono sentenze capitali, sono arrivati a quota 46, ( quelli totali sono 103). E’ stato comunque l’anno record delle esecuzioni capitali.
Esecuzioni che ancora avvengono (secondo i dati dell’ong ‘Nessuno tocchi Caino’), in Afghanistan, Arabia Saudita, Bahrein, Bangladesh, Bielorussia, Botswana, Cina, Corea del Nord, Egitto, Emirati Arabi Uniti, Etiopia, Gambia, Giappone, Giordania, India, Indonesia, Iran, Iraq, Kuwait, Libia, Malesia, Nigeria, Oman, Pakistan, Palestina, Saint Kitts e Nevis, Singapore, Siria, Somalia, Stati Uniti d’America, Sudan, Sudan del Sud, Taiwan, Thailandia, Uganda, Vietnam e Yemen .
Qui purtroppo la situazione è immutata nonostante gli sforzi delle Nazioni Unite e delle molteplici organizzazioni come Amnesty International, Lidu (Lega italiana dei diritti dell’uomo), Ensemble contre la peine de morte e la stessa ong ‘Nessuno tocchi Caino’, che riporta sul sito ufficiale la storia di A.A. un condannato a morte negli Emirati Arabi Uniti, liberato dopo aver trascorso in carcere 14 anni in attesa dell’esecuzione. Questo grazie all’avvocato della difesa che ha basato l’arringa sul fatto che il suo cliente fosse minorenne quando ha commesso il reato e che non si trattasse di un omicidio premeditato, ma solo di una lite conclusasi in un omicidio non intenzionale. Per quattordici anni quel ragazzo, che è ormai un uomo adulto, ha dovuto subire e vivere il terrore giornaliero di essere ucciso da un momento all’altro.
Ma se per lui le cose sono andate diversamente, secondo l’ultimo rapporto di ‘Nessuno tocchi Caino’, per molti altri no. Solo in Cina sono state eseguite 1200 condanne, 657 in Iran, 174 in Pakistan e 102 in Arabia Saudita. Per queste persone infatti il terrore di morire si è tramutato in realtà.
Altri dati non confortanti arrivano dall’ong Ensemble contre la peine de morte che nel solo 2015 ha registrato, rispetto agli ultimi 25 anni, 1634 esecuzioni e quasi 2000 condanne a morte in 61 Paesi. Un record decisamente negativo per molti governi che si nascondono dietro motivazioni di sicurezza e prevenzione al terrorismo.
Ma come avvengono le condanne a morte? Ci sono diversi modi di togliere la vita ai prigionieri: la fucilazione, l’impiccagione, la decapitazione, il colpo alla nuca, la lapidazione, la caduta nel vuoto, la camera a gas, la sedia elettrica e l’iniezione letale. Quest’ultima, applicata in America in ben 32 Stati, si attua per via endovenosa. Si introducono contemporaneamente tre sostanze: un barbiturico, bromuro di pancuronio e cloruro di potassio. La prima sostanza rende incosciente il prigioniero; la seconda, un rilassante muscolare, paralizza il diaframma e i polmoni; e la terza, infine, causa l’arresto cardiaco.
L’esecuzione più utilizzata in Cina e Russia, è la fucilazione, ma questo metodo viene applicato e ammesso anche in altri 29 Paesi, soprattutto in Africa e Medio Oriente.
La lapidazione trova invece “consensi” in Iran, Mauritania, Indonesia, Pakistan, Arabia Saudita, Yemen e Emirati Arabi Uniti. Di solito viene applicata per crimini come stupro, incesto, adulterio e rapporti omosessuali. Il condannato, che può essere sia donna che uomo, viene ucciso lentamente dalla folla con lancio di pietre che colpiscono la vittima inerte che non può difendersi, né proteggersi. I prigionieri infatti vengono avvolti in un sudario e seppelliti fino alla vita o al petto in modo di farli rimanere immobili.
La decapitazione, a cui nostro malgrado abbiamo fatto l’abitudine attraverso le scene raccapriccianti per mano dei tanti terroristi islamici contro giornalisti e cittadini occidentali e non sol, viene usata per i condannati a morte in Arabia Saudita con l’utilizzo di una spada.
La pena di morte è un tema controverso tra chi è favorevole e chi si oppone fermamente, ritenendola una punizione disumana, crudele, degradante e che viola il sacro diritto alla vita. Una pratica che in molti dichiarano superata, visto che tra gli attuali metodi utilizzati troviamo, paradossalmente, gli stessi usati fin dal Medioevo: l’impiccagione, decapitazione e lapidazione. Persino Dante descrisse nel trentatresimo Canto dell’Inferno, il supplizio della morte lenta e agonizzante del conte Ugolino della Gherardesca .