Il voto presidenziale Usa si basa su 4 passaggi: le elezioni, che danno il potere ai delegati di votare (inizio novembre); il voto dei delegati (lunedì scorso); la verifica congiunta di Camera e Senato (il 6 gennaio 2017); ed il giuramento il 20 gennaio dell’anno successivo. Dopo il secondo passaggio si può dire che il Presidente è stato eletto, sebbene non abbia ancora preso potere. Il terzo passaggio è di garanzia e si deve attivare in senso di “non conferma” solo in caso di gravi criticità dimostrate e dimostrabili per il sistema democratico americano, provando l’obiezione. Il problema è che basta un membro del Senato ed uno della Camera Usa che evidenzino ostacoli democratici per attivare il voto in aula per la conferma della validità del voto dei delegati.
Chi scrive è certo che si arriverà al voto parlamentare in aula dopo il 6 gennaio 2017, una prima assoluta.
I delegati presidenziali che non votano secondo mandato sono rarissimi, ci fu un caso nel 1836, averne più di uno ha già fatto storia. Infatti, è vero, ben due delegati di Trump hanno cambiato il proprio voto, nonostante questo il tycoon newyorkese è stato eletto con 304 voti quando ne bastavano 270. Il vero problema, che non troverete sui giornali, è che a fronte di due candidati persi da Trump, ben 8 sono stati persi da Hillary Clinton. E sarebbero stati molti di più se in Maine e Colorado delegati Dem non fossero stati sostituiti (sostituzione, in Colorado, in Maine visto il voto disallineato è stato chiesto di rivotare).
L’America è divisa come non mai dai tempi della guerra civile. Aggiungiamo che lo stesso Obama disse in una intervista televisiva alla CNN, a Wolf Blitzer, che Trump “è inadatto per essere Presidente Usa” essendo “terribilmente impreparato per il ruolo”. Si è arrivati a fantasticare che Obama non volesse lasciare la Casa Bianca in caso di vittoria di Trump, fatto che fortunatamente sembra essersi dimostrato falso. Nonostante questo la situazione non promette bene, non tanto per la contrapposizione ideologica, quanto per gli interessi in gioco.
Infatti, quel che conta sono i denari, come sempre. E un Trump alla Casa Bianca ribalterebbe le politiche economiche fatte di tassi a zero, dollaro forte, guerra alla Russia. Il contrario è invece atteso con il nuovo presidente, normalizzazione dei tassi e del cambio e affiancamento a Mosca per eliminare una creatura, l’Isis, che sembra il risultato aberrante di un esercizio geostrategico tra Usa, Francia e Germania. Inevitabilmente le cose dovranno cambiare con Trump presidente, passando per la presa di coscienza da parte del governo russo della necessità di previa rimozione della sua creatura al comando di una Germania Europea troppo prona ad emanciparsi dall’ombrello Nato; creatura che verrà superata dai fatti e, come sempre, dagli interessi superiori. Piccolo commento sull’Italia: non esiste nessun dubbio che con le buone o con le cattive gli indirizzi politici italiani si adegueranno a quelli Usa, come sempre.
A livello economico quello che ci si può attendere è volatilità. E, andando contro la conventional wisdom, chi scrive ritiene molto probabile un crollo dei corsi di borsa nel 2017, possibilmente appena dopo la fine del mandato di Obama. Chiaramente questo sarà nell’interesse del nuovo presidente, che molto probabilmente denuncerà la vecchia amministrazione per aver detto un mare di bugie relativamente all’economia Usa in ottima salute (purtroppo chi scrive è dello stesso avviso ritenendo che molte statistiche siano state addomesticate per nascondere l’ovvio, ossia che la crescita del benessere USA non esiste nei termini che ci hanno inculcato mediaticamente essendo stata appannaggio solo di pochissimi, nascondendo tale scomoda verità dietro alla ricchezza media pro-capite invece della ricchezza mediana).
Tutto questo non farà altro che esacerbare gli animi: i Dem uscenti sanno che i loro atti pubblici (e non) verranno messi sotto la lente mentre i Rep dovranno trovare un capro espiatorio anticipato per l’innegabile ridimensionamento economico che seguirà, oggi nascosto dietro ad alle pieghe mediatiche di eccessi finanziari che hanno portato ad esempio il dollaro e le borse a livelli insostenibili. Purtroppo la storia insegna che in casi simili il cambiamento è quasi sempre traumatico, per il perdente.