Mentre per Al Qaeda la restaurazione del Califfato veniva visto come un traguardo finale da ottenersi con la jihad, per l’Isis ha, invece, rappresentato la base di partenza. Pur consci di andare incontro ad un rovescio militare che puntualmente si sta verificando, Al Baghdadi e i suoi seguaci hanno voluto comunque dare un segnale di risveglio all’orgoglio islamista in chiave fortemente antioccidentale. L’obiettivo principale dell’Isis, infatti, non è mai stato il rovesciamento del regime siriano di Bashar Al Assad, ma le facili conquiste territoriali ottenute combattendo una guerra parassitaria approfittando del caos provocato dalla miriade di sigle e combattenti anti-governativi operanti sul terreno.
L’Isis ha saputo cogliere al volo l’occasione che gli si presentava: sgusciare tra le fazioni in lotta conquistando territori, nel contempo giovandosi di un continuo ricambio di combattenti e di un largo bacino di consenso tra le popolazioni locali ottenuto tramite numerose attività socio-assistenziali in favore delle vittime dei bombardamenti della coalizione occidentale e alla ribalta mass-mediatica ottenuta proprio grazie agli iniziali facili successi militari. Inoltre, l’Isis non ha tralasciato l’intento di internazionalizzare il conflitto con l’Occidente concedendo ai nuovi adepti di combattere il jihad non solo raggiungendo in Siria o in Iraq, ma localmente, ovunque essi si trovino. Proprio questo sembra essere uno dei punti cardine relativo alla sicurezza soprattutto nei paesi europei.
L‘Italia, in passato ritenuta una fondamentale base logistica per l’approvvigionamento di documenti, armi ed il reclutamento di jihadisti, si è trasformata da tempo in un target appetibile e legittimo, così come fatto rilevare in varie informative dalle analisi dell’intelligence nostrana, ma anche dalle recenti operazioni di polizia che hanno messo in evidenza un elevato attivismo nella propaganda di visioni radicali dell’Islam diffuse via web e nei sermoni (khutba) proferiti nelle moschee semi-clandestine. E’proprio attraverso questo lento, progressivo innalzamento nella dialettica di esaltazione della restaurazione del Califfato che si prepara il terreno per il reclutamento di nuovi adepti.
Analizzando le ragioni dell’adesione volontaria al programma jihad, le realtà emerse parlano di fasi successive; inizialmente il processo prevede la vera e propria radicalizzazione, offrendo al neofita una visione del mondo innovativa rispetto alla realtà occidentale ed al contesto sociale in cui vive, solo successivamente gli si propone la vera e propria islamizzazione in senso jihadista, ovvero, l’affermazione imposta della Sha’aria.
In tale contesto è possibile ipotizzare il collocamento dei convertiti che hanno abbracciato la fede musulmana per esprimere il proprio malcontento verso la società e l’occidente in generale, trovando un’utile via di fuga alternativa al proprio vivere quotidiano ed un senso di appartenenza al gruppo che li accoglie e fornisce una nuova identità da vivere come protagonisti e non da gregari. Le posizioni estremistiche offerte ai neofiti e dagli stessi accettate e condivise, incarnano la loro volontà di fuggire da un passato probabilmente inquieto riponendo la speranza del proprio futuro nel perdono e nella salvezza offerte dalla partecipazione ad un programma di rivincita prospettato dall’adesione totale al progetto jihadista.
Nel reclutamento di nuove leve, un ruolo determinante è offerto dai Tabligh, i predicatori itineranti. Il loro modus operandi si basa sul palesare prospettive inaspettate proprio a soggetti selezionati tra gli emarginati, i tossicodipendenti, gli alcolisti ed i microcriminali. In questo ampio spaccato della società, risultano incisive e determinanti le capacità di immedesimazione ed introspezione dei Tabligh. E’ sottile il gioco psicologico messo in atto da questi imam autoproclamati. Si basa, infatti, essenzialmente su quattro diverse fasi. Il primo contatto esorta l’individuo ad astenersi da pratiche vietate dall’islam, anche se in questo contesto, il reclutatore si mostra solidale, aperto ed in alcuni casi complice.
Il secondo incontro comporta l’invito alla preghiera comune ed al commento delle sure coraniche rivisitate ad hoc dall’imam, fattori che rendono il soggetto ricettivo all’estremismo ed al disconoscimento dei falsi valori occidentali.
L’adesione del soggetto agli ideali islamisti lo conduce lentamente all’abbandono della propria identità in favore di una presa di posizione netta ed intransigente nei confronti del contesto sociale in cui vive ed a un progressivo isolamento. Tale cambiamento implica anche l’aspetto esteriore della persona; si assisterà, quindi, ad un graduale asservimento ad usi e costumi non propri dell’individuo radicalizzato, come il mutamento nel vestiario, la gestualità, la crescita di barba incolta e, in alcuni casi, della comparsa del callo frontale (goza, in arabo) che li rende riconoscibili come musulmani dediti quotidianamente non solo alle orazioni previste, ma ad un completo ed “innaturale” esercizio della preghiera che diventa, praticamente, una costante delle loro giornate.
Il quarto “capitolo” è volto a valutare l’effettiva volontà dell’adepto ad offrirsi come volontario, quindi a divenire un mujahed, per il compimento di azioni violente da compiere fi-sabilIllah, sulla strada di Dio, per il trionfo dell’Islam e per l’affermazione della legge sacra (Sha’ria). Questo passo deve comunque essere compiuto successivamente ad un più radicale indottrinamento da effettuarsi in specifiche madrasa (scuole coraniche) con la cui frequentazione all’individuo vengono inculcati (non insegnati) la lingua araba tradizionale, la memorizzazione del Corano, la sua esegesi (tafsir), la shari’a (il diritto islamico), e gli hadith (detti e azioni del Profeta Muhammad). Dopo questo lungo iter addestrativo al soggetto viene attribuito uno specifico incarico da parte del Majilis as Shura (consiglio consultivo), così chiamato sia in veste ufficiale, per i paesi arabi, sia anche per le organizzazioni islamiste, da Al Qaeda all’Isis. Questo incarico può andare dall’adesione all’Isis come Stato sovrano, come combattente nelle terre della jihad, all’impiego come lone wolf in Occidente, alla costituzione di cellule logistiche, o al gesto sacrificale estremo, il martirio.
Trattazione specifica è da dedicare al cosiddetto indottrinamento carcerario. Infatti numerose conversioni avvengono proprio tramite il contatto con detenuti musulmani, soprattutto nelle carceri che ospitano elementi radicalizzati che trasformano il periodo di detenzione in un’occasione per reclutare nuovi soggetti da incanalare verso il vero e proprio reclutamento, ed il successivo impiego, per la jihad.
Numerosi detenuti sono portati all’adesione ai principi dell’islam, sia per loro scelta, ma anche per motivi di sopravvivenza. La comunità musulmana, infatti, offre un’immediata partecipazione del convertito alle attività religiose e sociali, svolte anche all’interno delle prigioni, che riescono a rafforzare fin da subito, il senso di identità dei neofiti nella loro nuova veste. Da sottolineare il fatto che gli indottrinatori agiscono anche nei confronti dei musulmani, già dichiaratisi, con un metodo molto insidioso: il credente che commette un reato diventa impuro, quindi, dal punto di vista religioso, infedele. L’alternativa offerta è la scelta di continuare a commettere reati ma al servizio della jihad.
Il rinvenimento all’interno delle celle di brochure inneggianti alla jihad, di dvd contenenti video di gruppi terroristici, di testi religiosi commentati da islamici radicali, ha dimostrato, ove ce ne fosse bisogno, che proprio il circuito carcerario viene utilizzato dagli estremisti come luogo di incontro e di reclutamento per nuove leve dello jihadismo. Ma non solo. Soprattutto in Gran Bretagna sono stati segnalati casi di vera e propria imposizione violenta della Sha’aria, sia tra gli stessi detenuti sia anche nei rapporti con le autorità, manifestatasi con le richieste di cibi particolari o di orari stabiliti per le preghiere in comune, la proibizione della diffusione di musica, o, il venerdì, per il commento dei versetti coranici da parte di improvvisati imam.
Le carceri sono quindi da considerare come nuova terra di conquista da parte degli integralisti, e non certo un luogo di redenzione o di riabilitazione del detenuto così come previsto dalle legislazioni in vigore in Occidente.